ATTENZIONE

QUESTO BLOG È UN ARCHIVIO CHE RACCOGLIE I POST ANTERIORI AL 2014. IL NUOVO BLOG LO TROVATE QUI.

mercoledì 9 settembre 2009

Una penna che scrive

"Personalmente, credo che questo sia veramente un buon momento per un giovane che voglia cominciare a scrivere narrativa. Ho degli amici che non sono d’accordo. Al giorno d’oggi la narrativa di qualità e la poesia sono emarginate. È un errore in cui cadono parecchi dei miei amici, questa vecchia idea secondo cui "Il pubblico è stupido. Il pubblico vuole andare in profondità solo fino a un certo punto. Poveri noi, siamo emarginati perché la tv, la grande ipnotizzatrice… bla bla bla". Ci si può mettere seduti in un cantuccio e piangersi addosso quanto si vuole. Ma è una stronzata. Se una forma d’arte viene emarginata è perché non parla davvero alla gente. E un possibile motivo è che la gente a cui si rivolge sia diventata troppo stupida per apprezzarla. Ma a me sembra una spiegazione troppo semplice."

Faccio conoscenza con David Foster Wallace tramite le sue interviste e quelle che sul sito della minimum fax vengono definite perle wallaciane.
Che sia difficile costruire (o trovare?) la propria voce narrativa è assodato.
Ed è assodato anche che questa ricerca e questa voglia di autoaffermazione sfociano nella maggior parte dei casi nell'assoluto disinteresse verso il lettore.

"Ho scoperto che la disciplina più difficile nella scrittura è cercare di partecipare al gioco senza lasciarsi sopraffare dall’insicurezza, dalla vanità e dall’egocentrismo. Mostrare al lettore che si è brillanti, spiritosi, pieni di talento e così via, cercare di piacere, sono cose che, anche lasciando da parte la questione dell’onestà, non hanno abbastanza calorie motivazionali per sostenere uno scrittore molto a lungo. Devi disciplinarti e imparare a dar voce solo alla parte di te che ama le cose che scrivi, che ama il testo a cui stai lavorando. Che ama e basta, forse. "

Trovo questa parte davvero interessante. E' davvero difficile riuscire a frenare il proprio egocentrismo. La vanità, la tendenza autoreferenziale che contraddistingue la nostra epoca letteraria.

"A quanto pare, vogliamo solo continuare a mettere in ridicolo la realtà. L’ironia e il cinismo postmoderni diventano un fine a se stessi, una misura della sofisticatezza e della spregiudicatezza letteraria degli scrittori. Pochi artisti osano parlare dei modi in cui si possa tentare di aggiustare quello che non va, perché sembreranno sentimentali e ingenui agli smaliziati ironisti. L’ironia si è trasformata da un mezzo di liberazione in un mezzo di schiavitù."

Dopo aver parlato dell'importanza dell'ironia postmodernista ecco la critica più efficace che abbia mai letto proprio su tale questione.
Wallace è morto l'anno scorso, impiccato. Suicidio per depressione. Non ho letto ancora i suoi libri. Ma ho letto articoli, interviste (l'ultima alla sorella Amy Venerdì di Repubblica di questa settimana), critiche di grandi professionisti della letteratura.
L'intervista completa e le perle wallaciane, che vi invito a leggere qui, sono state pubblicate tra il 1993 ed il 1996. Da allora all'anno scorso Wallace avrà avuto certamente modo di vedere quanto le sue affermazioni fossero vere e quanto, sempre più, sia andata degrandando l'originalità delle nuove leve della letteratura.

I suoi libri racconteranno di lui meglio che qualsiasi intervista.
Per adesso condivido con voi parole così cariche e dense di verità da gelare. Parole lucide eppure sentite. Credo avesse un gran cuore.

"Il talento è solo uno strumento. È come avere una penna che scrive invece di una che non scrive. Non sto dicendo che riesco costantemente a rimanere fedele a questi principi quando scrivo, ma mi sembra che la grossa distinzione fra grande arte e arte mediocre si nasconda nello scopo da cui è mosso il cuore di quell’arte, nei fini che si è proposta la coscienza che sta dietro il testo. Ha qualcosa a che fare con l’amore. Con la disciplina che ti permette di far parlare la parte di te che ama, invece che quella che vuole soltanto essere amata. Magari questa è una cosa che non fa molto fico dire, non lo so. Ma mi sembra una delle cose in cui riescono gli scrittori davvero grandi – da Carver a Cechov a Flannery O’Connor al Tolstoj della Morte di Ivan Il’ic al Pynchon dell’Arcobaleno della gravità – sia "dare" qualcosa al lettore. Quando il lettore si allontana dalla vera opera d’arte pesa di più di quando ci si è avvicinato. È più ricco. Tutta l’attenzione e l’impegno e lo sforzo che come scrittore richiedi al lettore non possono essere a tuo vantaggio, devono essere a suo vantaggio. Quello che è velenoso e deleterio, nell’ambiente culturale di oggi, è che rende tutto questo tanto spaventoso da dissuaderci a farlo. Un’opera davvero grande nasce probabilmente da una volontà di svelarci, di aprirci a livello spirituale ed emotivo in un modo che rischia di farci provare davvero qualcosa nel farlo. Significa essere pronti a morire, in un certo senso, pur di riuscire a toccare il cuore del lettore."

Nessun commento:

Posta un commento