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lunedì 21 marzo 2011

C'è un motivo se capita

Ieri sera Jonathan Franzen, ospite da Fazio, ha citato deLillo.
Lo faceva anche Wallace durante le presentazioni dei suoi libri.

domenica 20 marzo 2011

L'ho finito



Ci sono tanti motivi per cui lo consiglio.
Iniziamo col dire che è un libro scritto molto più che bene (si, non l'ho letto in lingua originale e bla bla bla), probabilmente unico, difficilmente riconducibile ad un solo genere (e probabilmente anche a più generi). Credo anche che ci siano delle pagine così fondamentali per la storia della letteratura contemporanea che chiunque voglia fare qualcosa nella vita che abbia attinenza con la letteratura deve leggere necessariamente. E' un libro che riassume i dubbi, le dipendenze e le voglie della cultura occidentale. Credo che non sia un libro che parli solo agli states, ma a tutti quelli che hanno a che fare con la pubblicità, l'intrattenimento, le droghe, lo sport, la cultura della vittoria.

Non scriverò della trama, non molto almeno, perché è così complicata (attenzione non davvero complicata, meglio intricata) che ci vorrebbero un centinaio di pagine per poterne scrivere seriamente e soprattutto per poterne trarre di conseguenza delle riflessioni adeguate. Questo è un post che forse può risolvere il dubbio - lo leggo o non lo leggo? - e niente più.

La trama potete leggerla qui.

(Per chi non sapesse di che stiamo parlando, qui trova le puntate precedenti)

E' di sicuro il capolavoro di Wallace. Così immenso da divorare letteralmente La scopa del sistema (che resta un grandissimo romanzo), riassume probabilmente anche quei temi che Wallace tratterà dopo aver scritto Infinite Jest. Molte pagine, interi blocchi molto lunghi, sono perfetti alla maniera di Caro vecchio Neon, o dei più riusciti racconti di Oblio. Le note, solo qualche volta fastidiose, regalano in più di un'occasione le pagine più belle del romanzo.

Va letto anche perché nel caso in cui credeste di avere uno stile particolare nella scrittura, nel caso in cui credeste di avere un'ottima inventiva, di essere originali, Infinite Jest vi assicura un bel bagno d'umiltà. Wallace mi ha sempre dato l'impressione, e in un romanzo così corposo quest'impressione è diventata certezza, di voler comunicare a tutti i costi con il lettore. Non ho mai avuto l'impressione che brani complicati dei suoi racconti o romanzi fossero volutamente complicati, narcisisticamente complessi: credo che Wallace abbia fatto di tutto per essere chiaro.
Ed il terrore dell'incapacità di comunicare, il terrore per i problemi che la comunicazione porta con se, sono introdotti con chiarezza fin dalle prime pagine. Non ascoltate chi dice che sia un libro impossibile da leggere: ha riferimenti colti, una scrittura spesso molto profonda, alle volte non si posseggono le chiavi di lettura e si fa un po' di fatica, ma c'è sempre qualcosa che riesce a trascinarti e a convincerti ad andare avanti.

Ho sottolineato moltissimi brani. Questo è uno di quelli che preferisco:

Mario si era innamorato di Madame Psychosis fin dai primi programmi perché gli sembrava di ascoltare una persona triste che leggeva a voce alta le lettere ingiallite che aveva tirato fuori da una scatola da scarpe durante un pomeriggio piovoso, roba di cuori spezzati e gente amata che muore e dolore americano, roba vera. E' sempre più difficile trovare arte che riguardi le cose vere. Più passano gli anni e più diventa difficile per Mario capire come mai tutti quelli che all'Eta sono più grandi di Ken Blott si trovano a disagio e si sentono imbarazzati di fronte alle cose vere. E' come se esistesse una regola per cui le cose vere possono essere nominate solo se si roteano gli occhi e si ride come scemi. La cosa più terribile che gli è successa oggi è stata a pranzo quando Michael Pemulis ha detto a Mario che gli era venuto in mente di mettere su un numero di telefono per atei e far sì che, quando un ateo fa il numero, il telefono continua a squillare e nessuno risponde.

Vi segnalo questo post, perché dice molte cose che avrei voluto scrivere. Non smetterò mai di dire che la morte di David Foster Wallace per i suoi lettori è un fatto così privato, così sentito, che è capace di rovinare letteralmente intere giornate. E no, non è la stessa cosa per tutti gli artisti o le persone volgarmente famose che finiscono per morire tragicamente, perché la maggior parte di loro non ha mai mai creato niente del genere.

Spesso succede che dopo aver letto libri mastodontici ci si senta pieni. Ma come ci si comporta quando un libro mastodontico ti lascia svuotato, privato di qualcosa?

-.-.-.-.-

David Foster Wallace - Infinite Jest, Einaudi

mercoledì 16 marzo 2011

Venezia

Sono tornato da poco.
Comincio col dire che venessia entra al secondo posto della classifica delle città che più mi sono piaciute. Al primo posto c'è sempre Istanbul e al terzo c'è ancora Praga (Il lettore tenga conto che al momento non sono mai uscito dall'Europa).

Le cose per cui dovete andare a Venezia sono tante, proverò a riassumerle (in ordine casuale):

1) Non ci sono auto e motorini, ma solo barchette, motoscafi e gondole. Qualcuno ci ha fatto notare quanto possa essere un problema, in realtà, per chi a Venessia ci vive.
2) E' una città piena di misteri. Se ci andate comprate Favola di venezia, albo di Corto Maltese.
3) Ci sono dei negozi che vendono libri usati. Ad aver tempo per scavare si trovano cose interessanti. Io avevo solo il bagaglio a mano e non ho potuto portare tutto quello che volevo. Ho comprato però la prima edizione italiana di Rumore bianco di de Lillo, e si, ne sono molto soddisfatto.
4) L'aperitivo con le polpette ed il vino a "Alla vedova" in Strada Nuova.
5) I menu delle osterie: il polpo con le patate diventa Insalata di piovra e patate.
6) I ponti, decine di ponti bellissimi
7) I ragazzi che vivono lì che ti raccontano dell'acqua alta del 2008.
8) Le case che affacciano sui canali.

sabato 12 marzo 2011

Come vendere un milione di copie

E' vero, sono stato un po' assente da scuola, ma ho i miei buoni motivi.

Ieri sono stato alla presentazione di Come vendere un milione di copie e vivere felici (Mondadori) di Antonio d'Orrico. E' un romanzo sulla letteratura. A sentire come ne parla d'Orrico è affascinante, o almeno divertente. In sala c'era anche Toni Servillo che ha letto qualche passaggio del romanzo.

Due sono stati i momenti veramente alti: d'Orrico che parla del suo amico Domenico Rea e racconta un paio di episodi esilaranti nella loro grandezza e, quando ha detto, senza alcun dubbio, che per lui il più grande autore del '900 (Svevo escluso che è a cavallo dei due secoli) è Eduardo De Filippo.
Esce un mio articolo su Terra lunedì, prendetelo se vi capita.
Tra un paio d'ore parto per Venezia.
Si, esatto, mi assento per altri cinque giorni.
Ma ho i miei buoni motivi.