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martedì 25 ottobre 2011

This must be the place

Mia madre l'ha definito il più brutto film che abbia mai visto. Ma ogni film che ha visto negli ultimi dieci anni è il film più brutto che abbia mai visto, quindi non fidatevi. A me è piaciuto molto. Mi piacciono molto i tempi, le musiche, alcune scelte.

Mi piace molto meno l'inizio, forse un po' ingenuo, con quella discussione sul caffè di Napoli, Posillipo, non so.

[attenzione spoiler] 

Nell'incontro con Sorrentino di cui ho scritto qui, il regista parla delle scene in cui uomini e animali si incontrano. Mi piace molto la scena in cui Cheyenne osserva il bisonte, che dall'altra parte del vetro non fa altro che rimanere fermo. Mi ha ricordato una cosa che mi è successa qualche anno fa.  Ero in macchina con degli amici, sulla strada che da Pescasseroli porta a Civitella Alfedena, in Abruzzo. Tutto buio, nessuna luce, nemmeno quella della luna. Voltata la curva ce lo siamo trovati davanti, illuminato solo dai nostri fari. Era gigantesco, alto quanto un cavallo e con un palco davvero imponente. Non so se lo sapete, ma un cervo di quelle dimensioni può distruggervi l'auto se decide di caricare. Nel caso in cui si sentisse minacciato, un impatto voluto non può non arrecare danno alla carrozzeria. Ma lui è rimasto fermo, immobile, solo a sbarrarci la strada. Non so dirvi perché quel momento è stato importante. Ho pensato che fosse una visione magnifica, ma se dovessi spiegarvi perché non saprei dirvelo.

Vale anche per quella scena.





domenica 23 ottobre 2011

Le vie del lavoro

Per esempio...la precisione è un valore, le cose che costano uno sforzo ma arricchiscono la vita di relazione sono un valore. La mia morale fa parte dell'etica del lavoro. Il senso di tutto è il lavoro. E il lavoro è qualcosa di intersoggettivo, che stabilisce una comunicazione con gli altri. [...] Il lavoro come comunicazione.
(Italo Calvino)

Il 17 ottobre è partita l’inchiesta “Le vie del lavoro” su Timu, lanciata da Vincenzo Moretti.

È ovviamente un’inchiesta partecipata, secondo il modello proposto da fondazione ahref su Timu.


Lavoro/Valore

Ultimamente quando rileggo appunti scritti sull’argomento, alle volte di getto, scopro di aver scritto sul foglio la parola valore al posto della parola lavoro. È un errore? No, credo di no.
In quest’Italia il lavoro per molti è un valore. E questi molti possono aiutare a determinare il cambiamento non solo continuando a fare bene il proprio lavoro, ma anche raccontando la loro esperienza, quali sono i principi che applicano al proprio lavoro, come e perché fanno bene ciò che fanno.


Citando Moretti:
Racconteremo l’Italia che pensa che il lavoro non sia solo un modo per procurarsi i beni necessari per vivere ma anche un valore, un bisogno in sé, uno strumento importante per organizzare la propria vita in un sistema di relazioni riconosciute, per soddisfare le proprie aspettative di futuro, per cercare di vivere, in una pluralità di contesti e circostanze, vite più degne di essere vissute.

Partecipazione

Quindi partecipate, collaboriamo, raccogliamo storie, spieghiamole, lasciamo che gli italiani le ascoltino, le vedano e le condividano.

Qualche anno fa, durante le feste natalizie - forse il 27 dicembre - me ne tornavo a casa di primo mattino dopo aver passato la notte fuori. Entrato in un bar ho chiesto un cappuccino e un cornetto. Il barista, mentre mi metteva davanti la tazza bollente prendeva in giro un giovane collega che dato l’orario - penso fossero le sei e mezza - faticava ad attivarsi. «Un cornetto alla cassa uno...» dice «...sveglia Salvatò!». Poi mi guarda ed aggiunge: «Mo' ci sono le feste, no? Ci sta mio figlio che continua a dire “e quando torni a casa?”. Sto da due giorni chiuso qua dentro...ma come glielo spiego che c'è una responsabilità? Qua dentro noi dobbiamo svegliare la città. Scusa se è poco, Salvatò, forza che dobbiamo svegliare la città!».
Cercheremo l’approccio dell’artigiano, quello che ti fa provare soddisfazione nel fare bene una cosa “a prescindere”, senza cercare alibi nelle mille cose intorno che non funzionano come dovrebbero, qualunque cosa essa sia: pulire una strada, progettare un centro direzionale, scrivere l’enciclopedia del dna, cucinare la pasta e ceci. Sì, siamo cittadini reporter in cerca di una cultura, di una vocazione, di quella “cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo”, come diceva Josephine Baker, in cerca del “calore che riesci a fare quando fai qualcosa”, come dice il giovane Renato quando racconta della sua attività di maestro di chitarra. Ecco, noi cerchiamo questo, e ci piace un sacco l’idea di cercarlo insieme a voi. Buona partecipazione.

Raggiungere la meta "in Timu"


Timu è la piattaforma promossa da fondazione ahref, un luogo nel web che permette ai cittadini e alle comunità di lavorare insieme. È un social network in cui i cittadini reporter possono partecipare ad inchieste collettive. Come può un progetto del genere migliorare la qualità dell’informazione sul web? Timu crea un modello condiviso, un modello da accettare, da applicare alla propria pratica attiva di cittadino reporter: quattro punti da osservare per partecipare alla condivisione d’informazione di qualità (accuratezza, imparzialità, indipendenza, legalità).      


Timu in Swahili vuol dire team e team in inglese vuol dire squadra. In italiano (fonte dizionario Devoto-Oli) si può definire così: “Gruppo o formazione organica di persone con compiti e funzioni comuni”.

Timu è un social network che permette l’interazione, la connessione, la collaborazione. Queste tre parole mi piacciono molto, e forse l’ultima è quella che mi piace di più.  La parola collaborazione in italiano - ancora dal dizionario Devoto-Oli - è definita “Partecipazione attiva, variamente determinata e valutabile, al compimento di un lavoro o allo svolgimento di un’attività”.

Collaborazione è una parola che mi piace tanto perché da anni non è più al centro delle nostre vite, delle vite di chi ha compiti ben più importanti dei miei (far andare avanti un paese ad esempio) e quindi è anche un termine che ha perso valore per una parte del paese e ha acquisito valore, invece, per un’altra parte. Non è solo passione per i termini desueti la mia, ma più che altro passione per concetti desueti che oggi possono aiutare a migliorare il cambiamento. E sul fatto che oggi sia in corso un cambiamento non c’è tanto da discutere.

L’altro modello, quello della competizione letale - la sto prendendo larga? Non disperate, adesso ordiniamo tutto - è ancora il modello dominante. Il mondo dell’Università e il mondo del Lavoro non sono così diversi se osservati da questo punto di vista: ci si guarda con sospetto, si compete in aula quanto in ufficio, si gareggia per affermarsi, per scavalcare, sconfiggere, mangiare gli altri.

Dal canto suo la collaborazione - e questo è facilmente dimostrabile (lo fa Richard Sennet in un modo eccezionale) - deve tenere conto delle competenze differenti, delle abilità differenti, dei diversi gradi di formazione. E deve tener conto della competizione, deve incanalarla, renderla produttiva, non letale.  La corsa non è contro gli altri, la battaglia da vincere non è contro chi corre con noi, ma consiste nel superare il traguardo, raggiungere la meta - se mi permettete il gioco di parole - “in Timu”. È importante che la collaborazione sia attiva in tutti i soggetti partecipanti, anche in quelli più formati, più specializzati o semplicemente più talentuosi.

Richard Sennet scrive ne “l’uomo artigiano” qualcosa che i miei amici musicisti d’orchestra mi hanno spiegato spesso:
Il pubblico magari immagina che lavorare con un direttore d’orchestra o con un solista di grido sia di per sé un’esperienza trascinante per gli orchestrali, che il livello di qualità stabilito dal solista elevi quello di tutti gli altri; ma questo dipende da come si comporta il virtuoso. In realtà, un solista che si astrae dalla collegialità dell’orchestra può ridurre la voglia degli orchestrali di suonare bene. Gli ingegneri informatici, (Sennet scriveva in questo caso di aziende impegnate nell’innovazione della telefonia mobile NdR), come i musicisti, sono animali fortemente competitivi; per entrambi i problemi cominciano quando viene meno la collaborazione, che può compensare gli squilibri, perché allora il lavoro si degrada. (R.Sennet, L'uomo artigiano - Feltrinelli)
La partecipazione ha portato grandi risultati ad esempio negli Stati Uniti grazie alle esperienze di Spot Us e ProPublica, quest’ultima ha vinto per due anni consecutivi il premio Pulitzer (il sito produce e finanzia inchieste nell’interesse pubblico ed è guidato da Paul Stieger, non a caso membro del comitato scientifico di fondazione ahref).

Accettando il metodo proposto, registrandosi sulla piattaforma, creando un profilo personale, a chi decide di collaborare e partecipare è data la possibilità di contribuire alle inchieste, che lanceranno giornalisti professionisti, sociologi e quant’altro, o altri cittadini reporter. Le grandi testate possono utilizzare il materiale pubblicato su Timu, ovviamente citando la fonte. Per ogni utente sarà sviluppato un sistema per valutarne "la reputazione", sempre per difendere i principi del metodo Timu e premiare chi lavora meglio. 

Partecipando con accuratezza, imparzialità, indipendenza e legalità, si può determinare il cambiamento. Il cambiamento è già in corso e può essere un cambiamento decisamente positivo, se lo si costruisce insieme attraverso un metodo condiviso.

sabato 22 ottobre 2011

Citizen Journalism

Il citizen journalism è quel fenomeno che vede i cittadini impegnati nella produzione di informazione. Non è che i cittadini reporter non siano mai esistiti, anzi, ma è oggi, nel mondo che viviamo che possono davvero far parte del meccanismo dell’informazione.

Connessioni, reti, relazioni, comunità che si organizzano e che scambiano notizie attraverso social network, blog, servizi di microblogging. Il cittadino reporter ha a disposizione una libreria infinita, mezzi ed opportunità che rendono la nostra realtà capace di creare possibilità. Per noi e per tutti quelli che raccolgono la sfida.

Tutti i cittadini hanno in tasca un cellulare. La maggior parte possiede telefoni capaci di scattare foto, girare video e registrare audio in alta qualità. Alcuni condividono, lanciano in rete, mettono in circolazione ciò che fotografano o riprendono pochi istanti dopo che hanno deciso di registrare la realtà.

Twitter fa rimbalzare velocemente link, voci, dichiarazioni, informazioni, immagini, video e news da una comunità all’altra, da una città all’altra e da un continente all’altro. Facebook, il social network più utilizzato in Italia, è una grande cassa di risonanza.

Sul sito di fondazione ahref trovate un interessante documento, molto completo, sul citizen journalism ed un elenco delle organizzazioni che la promuovono (via ahref ve ne linko tre):

Center for investigative reporting (Cir). Specializzato nelle inchieste di giornalismo investigativo, è stato fondato nel 1977 a Berkeley da tre giornalisti. Collabora con le principali testate negli Stati Uniti. Di recente ha lanciato un'organizzazione non profit aperta al citizen journalism: è California Watch.
J-Lab. Sostiene progetti per il giornalismo partecipato su internet. È impegnato nello sviluppo delle community news e nella formazione dei cittadini, attraverso la pubblicazione di manuali. Ha contribuito al lancio di piattaforme per l'informazione locale. È gestito dalla School of Communication della American University a Washington.
ProPublica. È un'organizzazione non-profit: ha come motto “Giornalismo nell'interesse pubblico”. Segue inchieste investigative. Lanciata nel 2009 a New York, ha come caporedattore Paul Steiger. Ha in corso programmi per lo sviluppo di piattaforme per l'informazione online.

Ma quali sono i problemi del fenomeno? Perché parlare e discutere solo dei pregi, delle possibilità che offre una realtà non ci aiuta a migliorare. La qualità è un problema. Non è detto che la grande quantità d’informazioni porti sicuramente al peggioramento della qualità, ma è altamente probabile che ciò possa accadere quando la quantità d’informazioni diventa così enorme da essere incontrollabile.
Anzi, la rete ha dimostrato che quantità e qualità dell'informazione sono fenomeni collegati. Perché con l'aumento della quantità, aumentano anche le probabilità che emergano informazioni migliori. Ma quando la quantità cresce ancora diventando eccessiva rispetto alla capacità di filtrarla, selezionarla, criticarla, controllarla, contestualizzarla, allora aumentano anche le probabilità che l'informazione nel suo complesso peggiori. (L’alba di un nuovo giornalismo, Luca De Biase)  
E i giornalisti? Che fine fanno?
I giornalisti professionisti - questa è una mia opinione, ma soprattutto un’opinione di chi ne sa più di me - continueranno ad avere un ruolo fondamentale. Raccogliere, condividere a loro volta, utilizzare (nell’accezione migliore del termine), rendere fruibile contenuti condivisi sulla rete. Certo, c’è bisogno di una bella dose di collaborazione anche da parte loro, e a dire il vero sono in molti a ritenere il citizen journalism una possibilità.

E per i giovani che sognano di diventare giornalisti, cosa rappresenta questo panorama?
Ancora una volta la mia risposta è “una possibilità”. Partecipando, entrando in contatto con giornalisti o altre figure professionali un cittadino reporter può acquisire competenze. La possibilità di partecipare alla creazione d’informazione sui quotidiani online permette più possibilità di fare pratica, imparare, misurarsi con la professione. Prima di fare quel passo in più per provare a diventare professionista.

L’arricchimento, nella pratica del citizen journalism, riguarda entrambi i fronti. I cittadini possono segnalare e migliorare le proprie vite, i propri quartieri, raccontare la propria realtà, i giornalisti avere fonti illimitate, da verificare, controllare ed ordinare, ma capaci di arricchire un’inchiesta, magari darle una direzione inizialmente inaspettata.

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fonti

Appunti: l'alba di un nuovo giornalismo, Luca De Biase
Giornalisti innovatori, Luca De Biase
We the media - grassroots Journalism by the People, for the People, Dan Gillmore
Citizen Journalism, Fondazione ahrefIn usa il Citizen Journalism fa i conti col primo scivolone, repubblica.itCitizen journalism: Al Jazeera e i social media - su wavu di Fondazione ahref, Luca Dello IacovoSalva con nome, L'Unità

lunedì 17 ottobre 2011

consigli musicali

Vi consiglio due dischi, uno uscito il 10 ottobre e l'altro in uscita il 7 novembre.


"Ossimora" è il disco di Valeria Frontone cantato da Assia Fiorillo. È un disco molto piacevole, e suonato benissimo. Ne ho scritto qui.

L'altro è "Un posto ideale" l'esordio di Giovanni Block. Ricondivido il video - un piccolo making of - perché rende l'idea di quello che ci troverete dentro. Ne ho scritto qui


venerdì 7 ottobre 2011

Steve Jobs

Stamattina pensavo a come alcuni amici, molto più affezionati a Jobs di quanto lo sono io, mi abbiano comunicato della sua morte.
Vi spiego subito: due delle persone che vedo più spesso - i due responsabili del mio passaggio totale ai prodotti Apple - mi hanno contattato su skype ieri notte quando hanno appreso la notizia. Entrambi mi hanno scritto semplicemente "È morto", senza specificare nulla,  come se fosse un nostro amico di cui aspettavamo la dipartita.

Matteo Bordone su IFIONA, il suo blog su Wired, oggi ha scritto dell'affetto che provava per Jobs. Capisco che c'è molta gente che non riesce a spiegarsi come si possa provare dell'affetto per persone che non si conoscono e che forse non si conosceranno mai. Capisco anche che qualcuno possa pensare che si tratti di idolatria, fascinazione adolescenziale. Parlo di quelle persone che si chiedono  perché molti utenti sui social network stiano dedicando a Jobs pensieri, messaggi, o semplicemente stiano postando suoi video o interviste. Perché c'è anche chi crede che sia stato solo un bravo dirigente, un genio del marketing, un buon leader d'azienda, o soltanto uno di quelli che si è imposto sul mercato.
 
Per quanto mi riguarda, sono passato defintivamente ad Apple solo da qualche anno. Il primo Ipod l'ho comprato però 7 anni fa, e quindi Steve Jobs le mie giornate le ha modificate eccome. E mi metto anche nei panni di chi invece ha scelto Apple da subito, e quindi è una vita che ha a che fare con il pezzetto di futuro che Jobs ha mostrato.

Poi c'è il discorso di Stanford.  Ha avuto effetto su di me davanti ad un computer, immaginate a chi era presente. Quando ho visto il video la prima volta dovevo fare una scelta importante. Il consiglio di Steve Jobs non era il consiglio di mio padre o mia madre, ne di un caro amico. Ma è stato un consiglio che ho seguito. Un consiglio prezioso.