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sabato 9 gennaio 2010

Questa è l'acqua

La raccolta di testi si apre con una nota di De Lillo.

"Ora lo conosciamo come uno scrittore coraggioso in lotta contro la forza che voleva indurlo a rinunciare a se stesso. A distanza di anni sentiremo ancora il gelo che ha accompagnato la notizia della sua morte. [...]Giovinezza e perdita. Questa è la voce di David, americana."

Oggi un amico mi ha chiesto: Perchè stai leggendo così tanto di Wallace?

La risposta è stata immediata. E' la mia indole, se un autore mi piace, cerco di andare il più a fondo possibile. Ma non è solo questo, c'è di più.
Wallace fa di me quello che vuole. Mi fa innervosire, mi angoscia, mi fa ridere, mi fa commuovere. E' così ridicolo spendere parole su un testo, ogni suo testo, che di parole non ha mai bisogno. Di ogni storia coglie uno scorcio diverso, l'univa visuale che una persona normale o un autore normale non avrebbe mai pensato di adottare.
E a chi lo inserisce solo nel fenomeno del postmodernismo, sono pochi ringraziando il cielo, dico di leggere con più attenzione. Anche se è così evidente che non ci sarebbe bisogno neppure di una seconda lettura.
Cos'ha di speciale Wallace? Io lo sento, soprattutto dopo aver letto questa raccolta, che ha provato per tutta la vita a sfuggire al male del nostro tempo. So che ha provato con tutte le sue forze ad arginare quella che chiama la cosa brutta, che ogni volta che ha respirato il male ha avuto sempre la capacità di vedere il bene meglio di ognuno di noi. Si, mi sento coinvolto.
Non ho mai letto le opere di un autore ed essere dispiaciuto che una volta finite quelle pubblicate non ne avrò a disposizioni altre. Mi è capitato con qualche rock star, ma mai con uno scrittore. Ho pensato qualche volta peccato che sia morto così giovane ma mai ho dovuto sopportare il vero dispiacere, il sentire la mancanza.
E non sto parlando di quella idealizzazione adolescenziale. Io sento la sua mancanza.
A me dispiace che la sua voce sia stata zittita. E mi dispiace che sia stata zittita nonostante la sua lotta. E mi dispiace che non sia riuscito a dirsi fino in fondo che lui non era la malattia, che lui non era il male che aveva in testa. Mi dispiace che non ci sia riuscito, perché invece è riuscito a dirlo a noi nel racconto Solomon. Ce l'ha scritto, ce l'ha lasciato scritto su un post-it attaccato sopra il frigorifero.
E mi dispiace perché so che lui non riusciva a sopportare il dolore degli altri, che sarebbe stato in pena anche per me, per i miei problemi da giovane uomo, se mi avesse conosciuto. Mi dispiace perché so che il dolore degli altri era anche il suo dolore.
Mi dispiace perché mi ha spiegato che non sono il centro del mondo, che in una fila lunghissima alla cassa di un supermercato io non sono diverso da nessuno degli altri miei colleghi, non sono l'unico ad essere annoiato e che non sopporta quella situazione. Mi ha spiegato che tutti, dopo otto ore di lavoro, vogliono tornare a casa, che nessuno nel traffico ha davvero l'obbiettivo di intralciarmi.
Nel discorso tenuto alla consegna delle lauree del Kanyon College nel 2005, intitolato proprio Questa è l'acqua, Wallace parla di cultura.

"L'unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla. Questa, a mio avviso, è la libertà che viene dalla vera cultura, dall'aver imparato a non essere disadattati; Riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no."

Posso leggere ogni libro che ha pubblicato.
Ma so che mi mancherà. Posso leggere e rileggere le sue interviste, ascoltare ancora e ancora l'intervista fatta a Capri. Ma niente può portare nuovamente le sue parole ai nostri occhi.
Mi dispiace come se fosse un mio amico. E non provo vergogna nell'ammetterlo.
Un amico grande e grosso, un po' strano forse. Ma che sa indicarti un'altra possibiblità, un altro punto di vista. Un amico geniale.

-.-.-.-.-.-

David Foster Wallace - Questa è l'acqua, Einaudi



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