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martedì 16 novembre 2010

Perché vieni via con me è vieni via con me


Ieri in metropolitana, tornando a casa dall'università, parlavo con Rossella di Vieni via con me.
Ci siamo accorti, dopo una decina di minuti, quanto si percepisse l'attesa della seconda puntata. Ce ne siamo accorti, ancora di più, quando un signore ben vestito (e che parlava un ottimo italiano) si è inserito nella conversazione. La signora bionda seduta accanto a lui sghignazzava, il ragazzo in età da liceo seduto affianco a me, invece sorrideva.

Il signore era convinto che il confronto tanto atteso tra Fini e Bersani avrebbe svelato l'ineluttabile verità: i valori di entrambe le parti sono gli stessi. Ammetto che sono stato colpito, per un attimo, da quella divertente eventualità. Immaginate che picco di share: i due si guardano in faccia e con imbarazzo ammettono che i discorsi sono uguali. Bersani borbotta ma come è possibile se ssia sussesso e Fini invece sbianca, girando gli occhietti da cernia a destra e a sinistra. Non dico che sarebbe al livello del picco Sarah Scazzi a Chi l'ha visto, ma quasi.

Poi la puntata va in onda.
C'è tanta tensione nello studio, il salotto delicato e rassicurante di Fazio è diventato un palco che scotta. L'intervento di Paolo Rossi non colpisce, Bersani non stacca una volta gli occhi dal foglio, lo stesso eccezionale Antonio Albanese un paio di volte zoppica.
Ma cosa succede? Succede che tutti stanno aspettando uno scivolone. Tutti stanno aspettando che la cantante cada su quella trentina di gradini che portano al palco. Si spera che alla Clerici esca la tetta di fuori, e che a Grignani sfugga una parolaccia con la [g] in mezzo.

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