ATTENZIONE

QUESTO BLOG È UN ARCHIVIO CHE RACCOGLIE I POST ANTERIORI AL 2014. IL NUOVO BLOG LO TROVATE QUI.

domenica 1 agosto 2010

Ci leggiamo a settembre



Mettete play e poi iniziate a leggere.

Volevo lasciarvi con una canzone.
Ci ho pensato un po'. Ero deciso a mettere un pezzo che parlasse di viaggi. L'anno scorso ho caricato la foto di una strada. Anche quest'anno si parte in macchina, la stessa macchina dell'anno scorso che quest'anno ha toccato i 200,000 chilometri.
E c'è una canzone di Jovanotti che si chiama Marco Polo, che ad un certo punto dice viaggiare al volante di una macchina scassata/che per ogni chilometro in più è un gloria al padre, ed io mi ero proprio deciso a dedicarvela e a dedicarmela. Poi però ho visto le nuove foto di Alessandra Finelli. Ha deciso che fosse giusto presentarcele accompagnate da un brano degli Air. Che forse a tutti sembra un brano veramente lontano dal concetto di viaggio e di estate. No so se dipenda dalla luce da tramonto delle foto, che a me ricorda il tardo pomeriggio (in realtà poi ho scoperto che le foto sono state scattate all'alba) su spiagge dalla sabbia chiarissima e fine come polvere, o da chissà cos'altro, forse dalla dolcezza della melodia accennata al pianoforte, quella della frutta mangiata sulla sabbia bagnata, o dalla malinconia del tema, quella che ti lascia il sale sulla pelle e una giornata di mare appena finita, ma ho deciso di utilizzarlo come brano di saluto. Credo che sia il brano perfetto per farvi immaginare una macchina un po' malandata, un lunotto posteriore da cui si intravedono due zaini e due teste, una castana (la mia) ed una bionda (la sua), la mia mano sinistra che vi fa un cenno di saluto.

Peace.

La scopa del sistema


Nella prefazione Stefano Bartezzaghi scrive che è impossibile, visto che sappiamo come finirà la vita di David Foster Wallace, non chiedersi cosa avesse in testa.
L'intricata matassa di pensieri e di idee, delle immagini e delle parole, dove terminavano la loro esistenza di materiale narrativo e cominciavano quella di ossessione? E se fosse il contrario? Considerazioni banali e che dovrebbero essere completamente eliminate in un ragionamento critico. Banali ed inevitabili, perché per i lettori di David Foster Wallace, la sua vita e la sua morte sono diventate un fatto privato.

A 24 anni Wallace, terminati gli studi universitari, da alla luce il suo primo romanzo. Questo romanzo. Wallace supera la narrazione lineare, inserisce nell'opera materiali diversi, registrazioni di sedute psichiatriche, discorsi diretti ed indiretti, precisissime ricostruzioni.
Tecniche "postmoderne" che ancora non risultavano così vittime di abuso - siamo nel 1987 - ma utilizzate così sapientemente, tra l'altro da un autore tutt'altro che maturo, da non poter suscitare pensieri e commenti che non fossero pieni di ammirazione. E' facile per tutti lasciare frasi a metà, o interrompere dialoghi, o ancora più facile cancellare parti narrative. E' difficile, se non impossibile, se non sei provvisto di enorme talento e lucidità (sappiamo come è finita la vita di Wallace, ma nessuno può negargli veri e propri lampi di lucidità) far tornare i conti. Far quadrare tutto. Risoluzione certo impossibile se non vi è aiuto da parte del lettore.

Ancora più difficile, a meno che tu non sia talentuoso - molto talentuoso -, è riuscire a dire senza dire. Commuovere senza offrire l'esternazione del sentimento.
Così il lettore può commuoversi leggendo i dialoghi serrati dei personaggi, può percepire il feroce sconvolgimento, la confusione, il dolore, le ossessioni, senza che queste siano espresse fin dall'inizio.

Lenore, con le sue gambe perfette, L'uomo che vuole "imprigionarla" (chi leggerà il testo, tuttavia, capirà quanto sia banale quest'affermazione), la famiglia di Lenore, il padre sfuggente ma onnipresente, il fratello consumatore più che abituale di droghe dai tratti demoniaci ma geniale. E tanti altri, tante altre storie che coincidono, si sfaldano, si fondono.
Su tutti Lenore, non la Lenore dalle gambe perfette, ma la sua bisnonna che fu allieva di Wittgenstein, che lascia misteriosi indizi dopo la sua sparizione.

Io fossi in voi lo leggerei.

-.-.-.-.-.-.-

David Foster Wallace - La scopa del sistema, Minimum Fax

giovedì 29 luglio 2010

Cristophe Lemaitre


Si stanno svolgendo in questi giorni gli europei d'atletica leggera.

Per chi non lo sapesse, c'è un ragazzino francese del '90, a cui ancora non cresce la barba e che fa vedere i sorci verdi ai super muscolosissimi uomini neri della velocità.
Ieri ha vinto i 100 metri e non di poco, e qualche minuto fa ha corso la batteria dei 200 con una facilità, ma una facilità, che già tutti parlano di fenomeno.
E' il primo uomo bianco ad abbattere il muro dei 10'' sui 100 mt.

Cristophe Lemaitre ha vent'anni, un fisico ancora acerbo e nemmeno un quarto dei muscoli che hanno i suoi colleghi. E' una scheggia.
Tra qualche anno, quando avrà corretto la tecnica immatura, quando smetterà di correre con i gomiti larghi, quando sarò composto fino alla fine, non dico che riuscirà a strappare i primati ai giganteschi colossi giamaicani, ma insomma, chi lo sa.

mercoledì 28 luglio 2010

Mentre Leggo - La scopa del sistema

Wallace ha scritto questo libro a 24 anni.

Parole. A quanto pare quella donna è ossessionata dalle parole. Sull'argomento non ho nè intendo avere idee le chiare, ma sembra che all'università fosse una specie di fenomeno, che addirittura abbia vinto una borsa di studio a Cambridge, il che, effettivamente, a quei tempi e per una donna non deve essere stato facile; comunque sia, a Cambridge ha studiato lettere classiche e filosofia e chissà cos'altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? E' un problema di linguaggio. Sei incapace di amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Sempplice: costipazione di sedimenti linuistici.

-.-.-.-.-.-.-.-

David Foster Wallace - La scopa del sistema, Einaudi

lunedì 26 luglio 2010

Dove sono stato


Sono stato per tre giorni a Civitella Alfedena, ospitato da un caro amico.
Civitella Alfedena è un piccolo paesino di pietra in Abruzzo, nel parco nazionale.
Ho scritto già di questo posto, non qui, ma su fogli che poi sono stati stracciati - almeno quelli di carta - e non so se qualcuno avrà mai il piacere/dispiacere/ o la fortuna/sfortuna di leggere quello che ho scritto. Chi lo sa.


Il caso ha voluto che io e questo caro amico condividessimo questo luogo.
Lui ha una casa lì, io ci sono andato per anni con i miei genitori. Ma non ci siamo mai incontrati, o forse si e non ce lo ricordiamo. In ogni caso, a Civitella non mi sento ospite. La sensazione è molto vicina al sentirsi a casa. Ma nelle pagine che ho stracciato non scrivevo di questo.

Vivo in città tutto l'anno.
Quando sono in un luogo del genere dimentico lo stress dell'asfalto. Svanisce ogni pressione. Il corpo e la mente si abituano immediatamente ai nuovi ritmi, perché in luoghi del genere si ritorna ad essere naturali. No, non è retorica ambientalista. A me le città piacciono, ma c'è un dato chiaro e limpido, un dato che non si può trascurare, un'evidenza che salta immediatamente agli occhi. Io per un anno intero non so cosa voglia dire dormire nel silenzio. C'è sempre un'auto, un motorino, qualcuno che urla, uno stereo che spara nella strada le voci di improbabili pop star. Ecco, questi sono fatti.
A Civitella Alfedena la notte ti può capitare di sentire qualche sasso che cade o il vento che accarezza le case di pietra. E magari - lo dimostra la foto qui sotto - volti un angolo e ti imbatti nella natura, viva, così immediatamente percepibile.


(La foto notturna è opera di Alessandro Germanò e Corrado Parisi)