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venerdì 18 novembre 2011

101 tesori nascosti di Napoli @ Feltrinelli

Ieri c'è stata la prima presentazione di "101 tesori nascosti di Napoli".

In una giornata che tutti avevano bollato come negativa - un presunto sciopero, l'apertura di H & M, la confusione di via Roma e il clima da acquisti natalizi - il libro ha trovato l'ottima accoglienza della Feltrinelli. Me ne sono accorto solo in un secondo momento, dopo aver visto le foto che ha scattato l'amico Peppe Pace: dietro le nostre spalle un enorme muro di copie dell'ultimo romanzo di Fabio Volo incombe minaccioso.

Credo sia stato un incontro interessante e questo è ovviamente merito dei due compagni di viaggio che hanno accettato il mio invito, Vincenzo Moretti (è proprio vero che il numero 17 ci porta bene) e Antonio Sacco.

Abbiamo parlato di ricostruzione, di bellezza e luoghi da riscoprire. Di come sia importante cominciare a ragionare sul qui e non sull'altrove, del bisogno che abbiamo di dare vita ad un discorso condiviso sulla collaborazione, sulle competenze, di quanto sia importante l'incontro con gli altri. E di come oggi, più che mai, sia importante raccontare le storie dei luoghi. O riscoprire quelle che altri hanno già raccontato.

Ieri sera una delle storie che ho citato riguarda la Grotta di Seiano, e ho dimenticato di raccontarne un'altra a cui tengo molto. Alcuni dei luoghi che trovate in "101 tesori di Napoli" sono difficilmente spiegabili. È il caso del pontile di Bagnoli e dei resti dell'Italsider. Il raccontare permette di riconciliarsi con i luoghi, offre la possibilità di capire, di trovare chiavi di lettura. In quel capitolo cito un romanzo, "La dismissione" di Ermanno Rea, che meglio di molti altri libri, saggi e studi riesce a spiegare e a raccontare quel luogo. Nella guida descrivo il passo, qui invece mi piacerebbe citarlo. Vincenzo Buonocore, protagonista dell'opera spiega la visione dell'impianto industriale dall'alto, quando finalmente si decide ad osservare la sua Italsider da una postazione privilegiata, in un cestello di una gru a novanta metri d'altezza.
Era come salire in un ascensore a cielo aperto. Vidi subito il mare, Nisida, i pontili che tagliavano come coltelli l'acqua opaca. Più salivo più gli alti camini dello stabilimento sembravano approssimarsi a me; assomigliavano a uomini che avanzano eretti e un po' minacciosi verso il centro di una piazza inondata di sole. Quei camini mi ricordavano persone reali, operai che avevo conosciuto nel passato e che poi avevo perduto di vista: perché erano morti, oppure si erano trasferiti all'estero; o avevano rinunciato all'acciaieria per un motivo qualunque. Mi vennero a mente un sacco di nomi e di volti.
Il racconto di questi luoghi ci aiuta a comprenderli, a capirne la densità, ad accettarne  l'importanza seppur drammatica, a volte.
(Al più presto pubblichiamo un video con gli interventi di ieri sera. Un grazie di cuore a tutti, alla famiglia, agli amici, a chi non conoscevo e ai curiosi arrivati lì per caso).



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