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QUESTO BLOG È UN ARCHIVIO CHE RACCOGLIE I POST ANTERIORI AL 2014. IL NUOVO BLOG LO TROVATE QUI.

mercoledì 29 dicembre 2010

Come ti trovi a Berlino est? II

Ho aggiunto un altro paio di calzini ai due paia indossati negli ultimi due giorni. Non ci lasciamo intimorire, ma la massima di -7° e soprattutto la minima di -21°, ci costringono ad essere previdenti.

Le persone che incontriamo per strada, ogni volta che chiediamo indicazioni ci chiedono se vogliamo davvero raggiungere la meta a piedi mentre strabuzzano gli occhi e si scambiano tra loro sguardi complici. Le macchine vanno lente sulla neve, si creano mega ingorghi cosmici e noi, cronometro alla mano, ci mettiamo sei minuti per fare duecento metri.

Fernanda continua a chiamare la Filarmonica di Berlino la "fisarmonica".
Alla National Gallery abbiamo visto cose belle, come questo:



Questo:


E questo:



Siamo andati a vedere alla porta di Brandeburgo i preparativi per il veglione, ma non sappiamo ancora cosa succederà. Pare che sarà tutto molto grande e luminoso.


Cose che ho già fatto o abbiamo già fatto:

- Sono scivolato tra i blocchi scuri innevati del monumento di Eisenman dedicato all'olocausto.

- Rossella è caduta, in metropolitana, su una passeggera seduta. Dopo tutti la prendevano in giro, quando in piedi mostrava il suo stato di precario equilibrio. Un signore si proteggeva con le mani temendo una nuova caduta.

- Abbiamo visto un padre che trascinava in strada la sua minuscola figlia su uno slittino di legno. L'ho invidiata parecchio.

- Io Corrado ci siamo seduti, volontariamente, su una panchina completamente ricoperta di neve e ci siamo fatti scattare una foto dal retrogusto tipicamente italiano.

- Abbiamo preso un kebab.
Con il tipo che ci ha servito abbiamo parlato di calcio. Ha nominato Totti, Trapattoni, Roberto Baggio e Paolo Rossi. Si è stupito che Rossella non lo conoscesse. Ci ha fatto capire, con uno sguardo disgustato, quanto gli stesse poco simpatico il numero 1, Luca Toni.

martedì 28 dicembre 2010

Come ti trovi a Berlino est?




Qui a Berlino sta nevicando da qualche giorno. Siamo arrivati solo l'altro ieri, ma ci piace giocare a fare i grandi ed esperti viaggiatori.

La neve ci piace, perché cade come la pioggia, però è neve e non pioggia quindi se si guarda con attenzione si possono notare i fiocchi a forma di stella che ti fanno diventare felice all'istante. Però poi la neve si scioglie, e a quel punto somiglia molto alla pioggia e ci piace di meno.

Non è che faccia così freddo, al momento la temperatura non è mai scesa al di sotto dei -7°, però abbiamo dovuto comprare altri calzini, che tre o quattro dita non funzionavano più.
La casa è carina e calda. Rossella ha già rotto un bicchiere ed una lampada. Al momento la teniamo legata ad una sedia impedendole di fare danni.


Cose che ho già fatto o abbiamo già fatto

- Abbiamo mangiato un wurstel nel pane. Il wurstel era gigante, il panino molto piccolo. Fernanda ha commentato così: il pane è un packaging di primo livello del wurstel.

- Mi sono ustionato con un tè preso in un bar turco.

- Ho capito perché il medico mi avesse consigliato di comprare un tutore per il ginocchio nel caso in cui fossi andato sulla neve.

- Mi sono rotolato in un cumulo di neve con Rossella di fronte al duomo.

- Abbiamo fatto la spesa alla Lidl. Nel reparto superalcolici, a tre euro, c'era la bottiglia di uno strano liquore che all'interno aveva una pera intera.

- Io e Corrado abbiamo cantato Alexander Platz del Maestro una volta arrivati alla piazza.

In foto, il balcone della mia stanza ed il cortile del palazzo. Noi siamo al quinto piano.

venerdì 24 dicembre 2010

Le parole sono importanti


Caro Babbo Natale,
quest'anno mi piacerebbe tanto ricevere un regalo che, davvero, e non lo dico tanto per dire, potrebbe rendermi felice. Mi piacerebbe tanto che le persone che ho intorno, non pronuncino più le parole che inserirò nella lista che segue.
Sono una serie di parole o espressioni che odio. Dove è stato possibile ho specificato anche una motivazione. I termini sono in ordine d'odio crescente.

- Cacchio
E' una via di mezzo terribile. Se ti va di usare una parolaccia come cazzo usala, altrimenti ti conviene usare pene o addirittura pisello.

- Che te ne fai?
Di solito è una domanda che mi viene posta su Msn o in chat. Che me ne faccio di che? Di che parli? Un caro amico, da quando gli ho fatto notare il mio disappunto non mi ha mai più chiesto che te ne fai.
Una volta gli è sfuggito, si è addirittura scusato.

- Vita natural durante.
Odio immotivato.

- Cicchetto.
Che cos'è, un gioco per bambini? Passi per i ragazzini sedicenni che si vanno ad ubriacare nei locali, ma non vi infastidisce che un avvocato rampante, magari in giacca e cravatta, vi chieda: ce lo prendiamo un cicchetto?

- Sodo.
Mi da fastidio solo quando è associato ad una parte del corpo umano. Mi infastidisce quindi l'espressione seno sodo, ma non uovo sodo. Credo che il fastidio sia collegato al ricordo di un mio amico che alle medie, quando gli piaceva una ragazzina, si lasciava andare a commenti del tipo sedere sodo. Mi sembrava un vecchio porco, ed ogni volta che mi si avvicinava con quel sorriso, quel sorrisetto malizioso che ha stampato sulle labbra chi sta per raccontarti qualche storiella piccante, speravo che usasse termini espliciti e più adatti alla sua età. Inutile dire che la maggior parte delle volte il mio era un vano sperare.

- Trasfusione.
Lo so che salvano la vita. Ma l'immagine di sangue che esce da un corpo, per entrare in un altro corpo, mi fa venire i brividi. Quando sento questa parola (e tutta una serie di parole che identificano malattie) brividi di freddo colpiscono la parte destra della mia schiena.

Buon natale.

(Domani parto per Berlino, magari riesco a scrivere qualcosa. Ci dovrebbe essere un bel po' di neve, ma troverò il tempo necessario)

giovedì 23 dicembre 2010

Cavani



Una volta, per spiegare ad un amico juventino qual è la differenza tra un tifoso del Napoli ed uno bianconero ho detto che nel caso in cui lo juventino vincesse uno scudetto, la sua reazione, nonostante la gioia e le feste in piazza, sarebbe (ed è la storia a confermarlo) abbastanza contenuta. Il tifoso del Napoli, invece, potrebbe anche arrivare a lanciarsi giù da un balcone.

Di questi tempi è difficile immaginare cosa può accadere. Nessuno può davvero, a cuor leggero, azzardare un pronostico. Cioè, qualcuno l'ha fatto, tipo Saviano, che ha detto in prima serata che quest'anno il Napoli va in Champions League, e si è pure preso un milione di bestemmie dai tifosi scaramantici, che va bene la lotta alla camorra, però quando si esagera si esagera.

Ero allo stadio contro il Palermo. Ed anche contro lo Steaua. Ma voi avete visto cosa sta succedendo a Napoli? I tifosi amano Cavani e lo rispettano, e sono anche convinti che la sua forza spirituale sia una dote, quel qualcosa in più che fa di un campione un campione con la testa sulle spalle. Ok, magari fanno anche un po' di ironia facile, ma sempre nei limiti della buona educazione.

Ora, Saviano si è sbilanciato, ma non credo di potermelo permettere io, che non sono Saviano. Un pronostico piccolo piccolo mi va di farlo però, appena accennato, ecco.
Secondo me, fino a cinque - sei partite dalla fine del campionato rimaniamo lì sopra, e come al solito, saremo così cocciuti che cominceremo a sentirci autorizzati a crederci.

mercoledì 22 dicembre 2010

U.A.N.M

Ricordate l'articolo sulla musica emergente a Napoli?

Dopo quelle riflessioni i ragazzi si sono uniti in una associazione denominata appunto U.A.N.M (Unione artisti napoletani in movimento).


Al momento c'è un gruppo su Fb.

Vi tengo aggiornato.

domenica 19 dicembre 2010

Momenti di trascurabile felicità


Il libricino di Francesco Piccolo girava in casa da un po'.
In copertina c'è un ragazzino che salta nel vuoto della pagina bianca e lucida.

Non avendo molto tempo in questo periodo (a proposito, il luogo comune che vuole che la formattazione della tesi di laurea sia una delle pratiche umane più noiose è un luogo comune molto vero) l'ho guardato per qualche giorno con fare circospetto. Lì sul comodino, 130 pagine, probabilmente divertenti, sicuramente per sorrisi facili. Me lo sono portato una mattina in giro per Napoli, una di quelle mattine in cui fai tante cose noiosissime, in cui hai lunghi attimi di nullafacenza in cumane, metropolitane e pullman vari.

L'ho cominciato a leggere alla fermata di Mostra.
Una fermata dopo i tre ragazzi seduti di fronte a me già erano contagiati dalle risate. Si sgomitavano chiedendosi che diavolo stessi leggendo.
Poi ho letto questo:

"Una sera, una ragazza bellisima e molto giovane mi ha invitato a casa sua. Mi ha baciato e si è spogliata ed era ancora più bella. Abbiamo scopato e poi prima che andassi via, sulla porta, mi ha detto: ci rivediamo, vero? Poi sul motorino, fino a casa, correvo e continuavo a dire a voce alta: quanto sono fico?! Ma quanto sono fico?!"

E' stato come ritornare a scuola. Quando hai voglia di ridere ma non puoi e ti trattieni, ti trattieni, e vorresti tanto scoppiare in risate fragorose ma non puoi perché altrimenti fai una figuraccia.
Quando ho scoperto che Francesco Piccolo mi fa molto ridere (la settimana scorsa era da Fazio, ma lui che legge il suo libro non fa ridere come leggerlo da soli) mi sono informato un po'. Oltre ad aver scritto la sceneggiatura di Paz! (film che continuo a credere sia uno dei più sopravvalutati della storia del cinema italiano) ha scritto sceneggiature diventate poi film che mi piacciono: Il caimano, Caos calmo, La prima cosa bella, ma soprattutto ha scritto la sceneggiatura di My name is Tanino, visto in un pomeriggio meraviglioso di un sabato freddo, in un cinema che ora non esiste più, in piena scoppiettante adolescenza.

Quindi, se avete la possibilità di comprarlo ma per qualche motivo esitate, convincetevi. E regalatelo anche per Natale, così regalate un po' di simpatia alla gente.

Come ha scritto Cristina Zagaria, qui, il libro si alimenta da solo, e dopo averlo letto stai lì a chiederti quali siano i tuoi momenti di trascurabile felicità. Questo è il mio, decisamente natalizio.

Quando entri in un posto caldo e fuori fa freddo. Se uno sconosciuto ti vede, mentre ti sfreghi le mani per riscaldarti più velocemente, ti dice: - Fa freddo, eh?
Ed un altro sconosciuto si intromette dicendo - Che poi è venuto così, all'improvviso, due giorni fa si stava bene.
E l'altro dice che però è niente, in confronto al freddo che fece quella volta, negli anni '80.

-.-.-.-.-.-

Francesco Piccolo - Momenti di trascurabile felicità, Einaudi

martedì 14 dicembre 2010

Fiducia

Il punto è che questa volta sembrava inevitabile.
Ma non spenderò molte parole per dire quanto questo paese sia capace di alzare, ad ogni sua manifestazione politica, la stanghetta del maliziometro.

Insomma, finisce che anche chi continua ad essere fiducioso poi un giorno, all'improvviso, si sveglia una mattina ed è completamente sfiduciato.

domenica 12 dicembre 2010

The wire


Amici che ne sanno più di me, un mesetto fa mi hanno consigliato The wire.
E' una serie tv durata 5 stagioni che tratta dei traffici illeciti, dei rapporti tra malavita e politica, dei trafficanti di droga, della polizia e dei disperati di Baltimora.

Baltimora è una città complicata. Ha anche un porto, uno dei più imporanti degli Usa. Al momento sono arrivato alla fine della terza stagione, e dire che mi ha completamente rapito è dire poco. Qualche tempo fa, Bordone, a proposito di Treme (serie televisiva sul disastro di New Orleans creata dagli stessi autori di The Wire) faceva notare quanto fossimo poco capaci in Italia a raccontare drammi o momenti difficili attraverso la televisione.

Perché raccontare una città dove ci sono trecento morti l'anno non è proprio una cosa semplice. E non è facile, soprattutto, farlo mettendo in mostra le colpe di tutti. Non è facile dare in pasto al pubblico i personaggi positivi mostrando tutte le loro debolezze, e non è facile mostrare dall'interno il mondo crimininale senza commettere qualche tragico errore. In The wire ci riescono, Baltimora è raccontata senza pietà.

Ora, giusto così per chiedere, qualcuno di voi ha mai visto La Squadra? La fiction italiana su Napoli, un'altra bella città difficile?

martedì 7 dicembre 2010

Qualche ricordo, qualche consiglio, un'intervista



Qualche anno fa, era il 2007 se non ricordo male, suonai al kesté (un piccolo ma noto locale napoletano). Eravamo stanchi, venivamo da una giornata passata in macchina dopo aver dormito poche ore in una casa che non poteva contenerci tutti. La sera prima avevamo suonato a Barletta, qualcuno aveva alzato il gomito, qualcun altro aveva dormito vestito in giacca e cravatta (era quella la nostra divisa da concerto) su una sedia a sdraio, qualcuno semplicemente non aveva dormito.

Non eravamo in formissima e sicuramente avevamo bisogno di una doccia calda.
Fortunatamente quella sera il nostro spettacolo prevedeva un intervallo. Durante quei cinque o sei minuti di pausa si doveva esibire sul piccolo palco il cantante di una band già abbastanza conosciuta. Così Claudio, il cantante in questione, aveva chiesto in prestito al nostro frontman il bassista (io) ed il batterista per accompagnarlo durante quel pezzo. Il brano si chiamava esistere e mi è rimasto in testa per anni. Non solo era toccante, ma aveva nel testo qualcosa di profondamente oscillante, come se corresse su di un cornicione sottilissimo, come se fosse in bilico tra la disperazione e la gratitudine.

Io ed il batterista suonammo il pezzo senza averlo mai ascoltato prima. Non so se lui ne è rimasto colpito quanto me. Chissà.

Oggi Claudio vive a Milano e ha scritto tante altre canzoni. Andate ai suoi Live. Per quanto mi riguarda aspetto il suo prossimo disco.
E voi, intanto, leggete l'intervista che ho pubblicato qui, e guardate il video di esistere, che resta ancora una delle mie canzoni preferite.

domenica 5 dicembre 2010

Mentre Leggo - Americana

A sud dell quarantaduesima la gente aveva più libertà di cedere il passo, eppure i volti parevano grigi e afflitti, i corpi intabarrati davano un'impressione di clandestinità, e allora pensai che forse in quella metropoli la folla era davvero essenziale all'individuo, perché senza di essa non c'era nulla contro cui rivolgere la propria rabbia, mancava l'eco del proprio dolore, si dissolveva ogni prova concreta dell'esistenza di persone ancora più sole al mondo. Pensieri fuggevoli. Me ne tornai a casa, accesi la tv, mi spogliai ed entrai nella doccia.

-.-.-.-.-.-

Don DeLillo - Americana, Einaudi

venerdì 3 dicembre 2010

Sono appena rientrato

Ed ho acceso la tv.
Su Rai1 c'è Porta a Porta.
Ora, è vero che la serata non è stata un granché, complice un pareggio del Napoli che poteva tranquillamente essere una vittoria stracciante, ma sono abbastanza contrariato.

Cos'è che mi deprime?
Il modo in cui si parla di politica. Non è una cosa nuova, è vero, e non mi piace neanche molto lamentarmi così, fare il criticone insomma.

Ma come si può continuare a sopportare Roberto Cota che dice, in poche parole, che Vendola è simpatico, che è anche intelligente perché sta in mezzo alla gente, ma che non può essere credibile come presidente del consiglio. Non dice perché, non da una motivazione.
Dice solo questo:

Ma voi ce lo vedete Vendola come presidente del consiglio?

Dannazione, quanto sono contrariato.

sabato 27 novembre 2010

Una vita tranquilla

Ho visto una vita tranquilla.

Ho pensato due cose:

1) Tony Servillo forse dovrebbe fermarsi un po'. A furia di recitare da dio prima o poi finisce che fa un film normale e si rovina la carriera.

2) Peccato per il finale.

Ora poiché non mi piace spoilerare non possiamo parlare del secondo punto, certamente il più interessante. Quindi vi consiglio solo di andarlo a vedere, perché finale brutto o meno, ne vale la pena.

Per il resto, scrivo poco, al momento.
Ma solo perché la tesi mi prosciuga le forze.
Ma viene bene, ed è una bella cosa.

Nei prossimi giorni vi posto qualche citazione trovata nei saggi che ho raccolto in giro.

mercoledì 24 novembre 2010

Forse

Ma forse criticare Bersani per il modo in cui parla, per il suo andamento lento, perché non sa colpire l'ascoltatore, vuol dire aspettare un nuovo Berlusconi.

Però di Sinistra.

E a me non è che sta tanto bene 'sta cosa qui, eh.

sabato 20 novembre 2010

Eppure a me sembra così chiaro

L’alternativa che esiste è tra chi vuole avere una scelta e a chi non vuole concederla. È tra la libertà e il divieto. Chi si trova a desiderare di poter morire e chi invece non lo vuole non sono sullo stesso piano, in Italia: i secondi possono fare ciò che vogliono, i primi no. Nessuno è “per l’eutanasia”, formula stupida che rende stupido chi la usa. Ma alcuni sono invece perché non sia vietata a chi la chiede. E per questo Saviano ha raccontato di Welby e non di storie diverse, l’altra sera: malgrado le richieste di qualche scellerato sostenitore di una par condicio del dolore. Perché Welby ha avuto negato un suo diritto di scelta, una sua libertà.

Il post completo di Luca Sofri qui.

Pensieri ed emergenze II

Qualche giorno fa, durante una serata al Doria 83, ho raccolto qualche voce col mio registratore.

Quella registrazione è diventata un articolo.

Questo tema per me è importante. Un po' perché è una cosa di cui ho cominciato ad occuparmi qualche anno fa qui, ed un po' perché mi ricorda quando vivevo le stesse preoccupazioni.
Ciò che mi ha colpito però, è che mentre qualche anno fa mi ritrovavo a tutti gli effetti ad intervistare dei ragazzini, ed un ragazzino ero anche io quando mi sentivo parte di quel mondo, adesso mi ritrovo davanti degli adulti.

Adulti che hanno trovato un loro spazio musicale in un posto inospitale e che hanno deciso che il loro sogno valga la pena di viverlo fino in fondo.

mercoledì 17 novembre 2010

Facebook

Andate a vedere The social network.

Ma se vi aspettate un film che ne denunci l'insensatezza, e la pericolosità, andate a vedere il film con Servillo che dicono sia bello.

The social network è un bel film.
Che racconta del più giovane miliardario del mondo. E se la ricostruzione è giusta ed accurata, magari sarà un po' stronzetto*, ma davvero dei soldi e della pubblicità non gliene fregava molto. Soprattutto della pubblicità che rende le cose meno fighe. Certo, gliene fregava di riscattare il suo animo pieno di conflitti. E di certo non è un ragazzo a cui affidare la propria primogenita, però a me sta simpatico. (Mi sta simpatico il personaggio del film, poi magari lui in realtà è davvero uno stronzetto.)

*prendo in prestito uno dei termini preferiti da Giulio Pietrafesa

martedì 16 novembre 2010

Perché vieni via con me è vieni via con me


Ieri in metropolitana, tornando a casa dall'università, parlavo con Rossella di Vieni via con me.
Ci siamo accorti, dopo una decina di minuti, quanto si percepisse l'attesa della seconda puntata. Ce ne siamo accorti, ancora di più, quando un signore ben vestito (e che parlava un ottimo italiano) si è inserito nella conversazione. La signora bionda seduta accanto a lui sghignazzava, il ragazzo in età da liceo seduto affianco a me, invece sorrideva.

Il signore era convinto che il confronto tanto atteso tra Fini e Bersani avrebbe svelato l'ineluttabile verità: i valori di entrambe le parti sono gli stessi. Ammetto che sono stato colpito, per un attimo, da quella divertente eventualità. Immaginate che picco di share: i due si guardano in faccia e con imbarazzo ammettono che i discorsi sono uguali. Bersani borbotta ma come è possibile se ssia sussesso e Fini invece sbianca, girando gli occhietti da cernia a destra e a sinistra. Non dico che sarebbe al livello del picco Sarah Scazzi a Chi l'ha visto, ma quasi.

Poi la puntata va in onda.
C'è tanta tensione nello studio, il salotto delicato e rassicurante di Fazio è diventato un palco che scotta. L'intervento di Paolo Rossi non colpisce, Bersani non stacca una volta gli occhi dal foglio, lo stesso eccezionale Antonio Albanese un paio di volte zoppica.
Ma cosa succede? Succede che tutti stanno aspettando uno scivolone. Tutti stanno aspettando che la cantante cada su quella trentina di gradini che portano al palco. Si spera che alla Clerici esca la tetta di fuori, e che a Grignani sfugga una parolaccia con la [g] in mezzo.

domenica 14 novembre 2010

Un bel grattacielo a Pompei

In questi giorni passati a studiare per l'ultimo esame di latino (sono arrivato davvero alla fine), non ho molto tempo da dedicare al blog. Ed un po' mi dispiace. Da domani le cose cambieranno, si spera. Incrociate le dita per me.

Stamattina ripensavo a qualche giorno fa, al crollo della casa dei gladiatori di Pompei e tutto il resto. E mi sono ricordato dell'intervento di Bondi a Ballarò, che ha cominciato una frase dicendo: parliamo di edifici che hanno duemila anni d'età. Come a dire, palazzi così vecchi, crollano.

Ci toccherà farne di nuovi.

Dai, che l'aria sta cambiando.


martedì 9 novembre 2010

Ma quanto costa questo cazzo di pianeta?



Ero piccolo quando Benigni saltò sulle poltroncine rosse alla premiazione degli oscar. Quell'immagine diede fastidio al mio io-spettatore bambino che non capiva come fosse possibile comportarsi così con Spielberg affianco, davanti a tutte quelle stelle incravattate e scintillanti. Non sono mai stato uno di quelli che gridava al poeta! quando lo stesso portava Dante in televisione. Non sopporto tutti quei gesti, i salti, le capriole. Per me Benigni ha dato il massimo con La vita è bella, apice di una carierra cinematografica che aveva già allora visto picchi niente male.

L'altra sera dovevo essere uno di quelli a cambiare canale, una volta cominciato l'intervento di Benigni.
Eppure non l'ho fatto. Ecco ci risiamo, ora mi obbliga a spegnere la tv mi sono detto quando ha annunciato che avrebbe cantato. Eppure il pezzo l'ho ascoltato tutto. Non è che la mia idea su Benigni sia cambiata così tanto, ancora considero ogni scena de Il Mostro migliore di tutto ciò che ha fatto due giorni fa, ma il testo del brano, così come l'intervento precedente, aveva una carica drammatica così forte che ignorarlo, o almeno non dargli una possibilità, sarebbe stato impossibile.
C'è quella frase - Ma quanto costa questo cazzo di pianeta - che mi gira in testa da un paio di giorni. Berlusconi ne ha fatte tante. Ma la cosa più terribile, quella che più ha segnato il nostro paese è stato far credere a decine di milioni di italiani che il suo fosse un esempio da seguire. Che l'arricchirsi in modi illeciti non fosse sbagliato, che non fosse sbagliato andare a letto con minorenni in cambio di favori, che fosse giusto offendere, che non fosse infimo rispondere con bazellette a chi chiede il conto ad un capo di governo.

Magari il programma televisivo - il giudizio finale lo lasciamo a chi lo fa per mestiere - non è stato sempre godibile. La storia della bandiera era pesantuccia, molti, forse troppi i punti appesantiti da retorica. Ma a me il programma ha dato un pizzico di speranza, che la mattina dopo non era scomparsa.

Poi ci sono quelli che dicono che programmi del genere non fanno altro che basarsi sul bene e sul male, che questo manicheismo è anacronistico.
E a loro rispondo che anche io non credo in questa semplificazione. Ma che credo in quell'altra, in quella semplificazione che oggi impone una scelta a noi che possiamo ancora permettercelo, scegliere se essere italiani onesti o disonesti.

lunedì 8 novembre 2010

Passione

Qualche giorno fa ho visto Passione di Turturro.
Vi consiglio di vederlo, se non l'avete già fatto, perché c'è tanta musica e tante belle immagini. Le ricostruzioni dei brani (pezzi della tradizione canora napoletana ricostruiti con scenette e balletti) non sono tutti, secondo me, riuscitissime. Ma alcune sono davvero deliziose

Turturro e Fiorello che cantano e ballano Caravan Petrol alla Solfatara sono esilaranti.
Su tutti, l'attimo di storia che ci regala James Senese, è di una bellezza straordinaria. Per chi non sapesse nulla su James Senese:

martedì 2 novembre 2010

Una bella raccolta



NON è UN ATTACCO NN STRUMENTALIZZATE LE KOSE,DA UOMO KE AMA MOLTO LE DONNE KE MALE C'è NEL DIRE DI APPREZZARE LE DONNE E NN I GAY,CAPISKO KE ORMAI BERLUSCONI è INVINCIBILE E QUINDI BISOGNA STRUMENTALIZZARE TT.BENE KOSI VUOL DIRE KE NN SI HANNO ARGOMENTI.W BERLUSCONI W PDL (commento di un elettore all'ultima affermazione di Berlusconi)

mio amato silvio non vorrei mai che nessuno ti facesse ombre nel cammino ma purtroppo la stampa fa il suo mestiere ma non ti preoccupare ci sarà sempre qualche persona che innamorata di te come me ti difenderà fino allo stremo delle forze. un abbraccio caloroso e un in bocca al lupo per il tuo difficile e preoccupante lavoro. TI AMO
(messaggio d'amore per Silvio Berlusconi dopo i primi articoli sulla questione Ruby)

Oggi in tv un'altra accusa infamante per il nostro presidente! Un'altra storia con un'altra ragazza, è un'altra grande bufala!! Ma al di fuori di questo, al popolo Italiano non interessano le storie private del nostro presidente interessa quello che fa per l'Italia e lui è l'unico che mantiene le promesse!!!Poi Bersani... ha replicato che non è dignitoso per un presidente del consiglio essere in mezzo a queste storie!! (A parte che sono storie inventate di sana pianta) Io vorrei dire a Bersani :è dignitoso avere in politica persone transessuali omosessuali!!!!!!!!! E chi più ne a più ne metta: Questo e dignitoso!!!!!!!!!!ma andate a quel paese voi e le vostre calunnie!!Non sapete più cosa inventare questo non è dignitoso!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
(commento di un'elettrice sul caso Ruby)

Silvio ha perfettamente ragione, e inutile voler far passare per normalita' maschi pelosi e depravati che la notte dormono insieme,, ma fatela finita fate orrore, non e' giusto che qualche violento si accanisca contro questi poveri malati, ma e' veramente ora di farla finita!! dio ci ha creati uomini e donne, e se non vi piacciono le donne siete malati e dovete accettare e curare la vostra malattia.Poi la cosa che ha me appare molto curiosa e' che tra la sinistra ne girano molti chissa' perche'.. w silvio berlusconi 10000000000000000000000000000000000000000000000000 000 di volte altro che' quel sigaro in bocca di bersani che non fa altro che criticare ma chi lo vota!!
(commento sull'ultima affermazione di Berlusconi)

Non avete forse notato che poco prima che Berlusconi partecipi ad una riunione internazionale, saltano fuori ad orologeria inchieste e sospetti a suo carico come fossero coriandoli ? Ecco Berlusconi ...ci aveva avvisato ! A colpo d'occhio salta subito che uno Stato pericolosamente comunista era ed è una realtà in Italia . Noi dobbiamo combatterla con la verità e la democrazia quella per cui per molti anni ci ha privato i comunisti assieme alla DC (sulla questione Ruby)

Tutte queste dichiarazioni sono prese da forum e pagine su facebook.

lunedì 1 novembre 2010

Libri da comprare


Ho già scritto di Zadie Smith, subito dopo aver letto Denti bianchi.
Nutrivo qualche dubbio* sul libro, soprattutto dopo aver letto alcune recensioni. Credevo che dopo aver scritto un paio di libri importanti, la Smith provasse a tappare un buco nella propria carriera con un mastodontico volume saggistico.
Ma non è così. Non l'ho ancora letto tutto - per un commento completo ne riparliamo tra qualche giorno o settimana, considerando la quantità di libri che aspetta sulla scrivania - ma i primi capitoli sono molto interessanti.

Nel primo capitolo Sentirsi del mestiere, scrive del suo rapporto con l'atto della scrittura, del suo metodo di lavoro, ed esprime qualche parere sulla categoria. Sono d'accordo con alcune sue scelte, sempre che di scelte si possa parlare:

Certi scrittori non leggono niente di nessun romanzo finché sono impegnati a scrivere il proprio. Nemmeno una parola. Non vogliono vedere neanche la copertina di un romanzo. Mentre scrivono, il mondo della letteratura muore: nessuno ha mai scritto, nessuno sta scrivendo, nessuno scriverà più. [...]
La scrivania su cui lavoro è ingombra di romanzi aperti. Leggo qualche riga per immergermi in una certa sensibilità, per azzeccare una particolare nota, per darmi del rigore quando sto cadendo nel sentimentalismo, per ottenere un minimo di scioltezza liguistica quando sono sintatticamente troppo ingessata.


Molto interessante anche Il dono delle lingue. Intimo, in un modo difficile da spiegare Natale a casa Smith.

Il secondo consiglio è The Paris Review (interviste) volume II edito da Fandango libri. Per chi volesse informazioni sul primo volume questo è il link ai precedenti post.


Dopo averlo sfogliato (non con superficialità) sono convinto che sia addirittura migliore del primo volume. Una bella raccolta. Leggendo le interviste a Graham Green, Faulkner, Marquez, Munro, Baldwin, potete scoprire dettagli interessanti, che siate o meno studiosi di letteratura.
Se invece siete scrittori, costantemente in conflitto con ciò che scrivete e con la strada che avete scelto, potete trovare conforto e, soprattutto, sentirvi meno soli. Sempre che non siate così superbi da considerarvi migliori di loro, o così a terra da sentirvi troppo inferiori. Certo però, leggendo la prefazione di Orhan Pamuk sembra che gli scrittori si somiglino tutti. Non vi nascondo che questa cosa mi regala un pizzico di serenità.

Rileggere queste interviste dopo così tanti anni - e dopo essere apparso io stesso nelle pagine della rivista - vuol dire richiamare alla memoria le speranze e le inquietudini dei miei primi giorni da scrittore. Trent'anni dopo, le leggo con lo stesso entusiasmo, e so di non essermi sbagliato in alcun modo: queste interviste mi parlano delle gioie e dei dispiaceri della letteratura in maniera più forte che mai.

-.-.-.-.-.-

Zadie Smith - Cambiare idea, Minimum Fax
The Paris Review (interviste) Volume II - Fandango Libri

*
A rendermi dubbioso anche il prezzo. Fortunatamente qualcuno, tagliando la testa al toro, me l'ha regalato.

sabato 30 ottobre 2010

Ruby

Cioè, davvero mi state dicendo che Berlusconi potrebbe cadere rovinosamente perché ha aiutato una minorenne extracomunitaria a non avere problemi con la legge, ed i suoi alleati trovano che la faccenda sia compromettente?

martedì 26 ottobre 2010

I quarantanove racconti



Ho un rapporto di odio/amore con i racconti.
Non riesco a leggerne molti in un solo giorno. Soprattutto quando sono buoni racconti, mondi con un inizio ed una fine, precisi, senza nulla di troppo.
E se sono perfetti come questi, allora è un bel problema.
I racconti sono quarantanove.
Sono tutti perfetti. Certo, qualcuno l'ho trovato meno interessante, qualcuno invece mi è paciuto così tanto che il giorno dopo ne ho ricopiato metà su un quaderno. Ma sono tutti perfetti.

Non ho controllato che edizione ci sia in giro al momento, ma questa che ho sulla scrivania termina con un'intervista ad Hemingway già citata in questo blog.
Se amate la letteratura, se siete scrittori o anche solo degli appassionati, dovete procurarvi quest'intervista. Davvero. Ne va dell'amore che provate per la letteratura, che grazie a quest'intervista potrebbe diventare qualcosa di molto più grande (se esiste un termine preciso per esprimere un superamore mandatemi una mail).

La forma romanzo credo sia la più adatta per scrivere del mondo. Credo (questa l'avrete già letta decine di volte su questo blog) che i romanzi abbiano la stessa struttura della vita umana.
Ma i romanzi raramente sono perfetti, c'è sempre qualcosa che può essere eliminato, qualche piccola esitazione. Il lavoro che si può fare su un racconto, invece, ti permette di arrivare alla perfezione. Certo, se sei Hemingway o Carver, o l'editor di Carver (piccola punta di risentimento).

L'esempio perfetto del racconto perfetto è Colline come elefanti bianchi.
In cinque pagine capiamo le intenzioni dei protagonisti, assistiamo al dramma del loro rapporto, alla terribile sensazione che si scatena nell'uomo quando deve prendere una decisione, ci sorge il dubbio che sia una decisione forzata, soffriamo, sentiamo il sapore di ciò che stanno bevendo. Percepiamo il velo di fastidio che si distende sugli oggetti, viviamo la consapevolezza dei protagonisti, tutto cambierà per sempre, tutto è già cambiato, viviamo la speranza, una speranza amara, a suo modo negativa.
E tutto questo non è scritto. Resta sotto, sotto le trame dei discorsi, sotto i movimenti dei protagonisti. Rileggetelo un paio di volte, forse capirete perché Calvino diceva che avrebbe dato volentieri dieci anni della sua vita in cambio della possibilità di scrivere questo racconto.

Se state lavorando a qualcosa di lungo, un romanzo per esempio, e siete in quella terribile fase in cui tutto quello che avete scritto vi sembra troppo pieno di parole, la maggior parte delle volte tutte sbagliate, e quindi tagliate, accorciate, deturpate, concedetevi una pausa ed aprite questo libro. Sono sicuro che lascerete la matita rossa sul comodino.

Se non vi va di leggere tutti i quarantanove racconti dovete almeno leggere questi:

Colline come elefanti bianchi
Gatto sotto la pioggia
La breve vita felice di Francis Macomber
Il signor Elliott e signora
Un posto pulito, illuminato bene
Il lottatore
Campo indiano
Il mio vecchio
Cinquanta bigliettoni

-.-.-.-.-.-

Ernest Hemingway - I quarantanove racconti, Einaudi

domenica 24 ottobre 2010

The mantra above the spotless melt moon

L'intervista alla band qui.

Ascoltate questi ragazzi e davvero - davvero eh! - non ve ne pentirete.


sabato 16 ottobre 2010

Consigli

Mi piace Gianni Mura. Quindi vi consiglio l'articolo a pg. 35 del Venerdì di questa settimana: Ora che è tutto finito, ho la risposta. Si, Diego era davvero megli'e Pelé.


domenica 10 ottobre 2010

Roger Federer come esperienza religiosa



Il tennis è uno sport affascinante.
Spacciarmi per un esperto non mi riuscirebbe neanche volendo, ho giocato a Tennis forse due volte. Ho visto qualche partita alla Tv, qualche partita dal vivo, più che altro partite d'allenamento di amici, niente di più.
Un'altra promessa che mi sono fatto, una volta aggiustato questo ginocchio rotto, è imparare a giocare.

Ma i personaggi come Federer, Nadal, li si conosce tutti, sono nomi di cui finisci per sapere qualcosa per forza, perché vivono sul tetto del mondo.
Ho già letto della passione per il tennis di Wallace in Tennis, tv, trigonometria (Minimum Fax), che da giovane ne ha giocate molte di partite (per quanto si finisca per credergli sempre, sono abbastanza sicuro che sia stato piuttosto modesto nel raccontare il suo talento), e proprio ieri ho comprato Roger Federer come esperienza religiosa. E' un articolo apparso sul New York Times del 20 agosto 2006, riproposto in una elegante ed esile edizione dall'editore Casagrande.

Ancora una volta Wallace scrive di quanto il Tennis sia uno sport difficile da comprendere profondamente se non ci hai mai giocato e di quanto sia difficile comprenderlo superficialmente se lo si segue solo in Tv. Scrive dei Momenti Federer, attimi in cui la grandezza del tennista si percepisce in maniera quasi imbarazzante, stupefacente:

Data la posizione di Agassi e la sua straordinaria rapidità, per riuscire a passarlo Federer doveva spedire la palla dritta lungo un tubo di cinque centimetri, ed è proprio quello che ha fatto, mentre saltellava all'indietro, senza il tempo di posizionarsi e caricare il peso. Era impossibile.

Wallace, inviato a Wimbledon nel 2006, assiste alla partita decisiva del torneo, la finale attesa da tutti, Federer contro Nadal. Per Wallace vuol dire poter analizzare il rapporto tra Forza e Bellezza, tra Violenza ed Eleganza, vuol dire parlare del senso cinestetico, del rapporto privilegiato che intercorre tra i grandi campioni ed il loro corpo, vuol dire dare una lettura di questo sport, ma non solo:

Ovvio, negli sport maschili nessuno parla mai della bellezza, della grazia, o del corpo. Gli uomini possono professare il loro "amore" per uno sport, ma questo amore deve sempre essere espresso e rappresentato nella simbologia della guerra: eliminazione e avanzamento, gerarchie di rango e posizione, statistiche maniacali, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalistico, uniformi, frastuono collettivo, bandiere, petti percossi, facce dipinte, ecc. Per ragioni che non sono totalmente chiare, molti di noi trovano i codici della guerra più sicuri di quelli dell'amore.

Non scriverò di più, data la brevità del testo (56 pagine comprese di note wallaciane), finirei per rovinarvelo. Vi basti sapere che nel finale, come al solito illuminante, perfetto, Wallace riesce a dare un senso all'esperienza dello spettatore, e riesce a spiegare cosa sia capace di scatenare in noi un gesto sportivo, tecnico e geniale.

-.-.-.-.-.-.-.-

David Foster Wallace - Roger Federer come esperienza religiosa, Casagrande

venerdì 8 ottobre 2010

L'ultimo metro



Carver era un sostenitore della solidarietà tra scrittori.
Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che nascessero invidie e gelosie tra amanti della stessa arte, tra persone che condividono la stessa forma espressiva.

Io per primo per molto tempo, spero apprezziate questa piccola e personale autocritica, quando mi sono trovato davanti un testo scritto da qualcuno che conoscevo sono stato titubante.
La mia più grande paura era scoprire che quello scrittore, un conoscente tra le altre cose, fosse migliore di me. Come se esistessero dei parametri, poi. Fortunatamente ho smesso di comportarmi così. Fortunatamente per me, prima che per gli altri che dei miei giudizi se ne fanno ben poco. Fortunatamente per me, perché mi sarei perso delle cose davvero interessanti continuando su quella strada.

Giovanni Di Benedetto è un ragazzo che ho conosciuto all'università diversi anni fa. Già nel 2005 si dimostrò più saggio di me, quando incontrandolo al concerto dei Sigur Ròs a Firenze mi disse che aveva prenotato un ostello per la notte, mentre io ed altri tre disgraziati amici congelammo alla stazione (poi un giorno ne scrivo, promesso). Ogni tanto ci incontriamo perché ci piacciono le stesse cose. Giovanni sul suo blog scrive un sacco cose interessanti (prima aveva un'immagine meravigliosa che adesso ha sostituito, ma gli ho già espresso il mio parere), credo di averlo già consigliato, fatevi un giro se non l'avete ancora tra i preferiti.

Il suo racconto L'ultimo metro, è stato pubblicato nel 2009 dall'ARPAnet.
Finalmente me ne sono procurato una copia. Vi consiglio di leggerlo. E' un racconto intenso e strutturato in maniera interessante.

D'improvviso pioggia. I camerieri dei cafè si agitano, sgombrano i dehor e ricevono mance di chi decide di correre via. L'entrata della metro di Republique si orna di venditori di ombrelli da due soldi come mercanti nel Tempio che spacciano fede.

Descrizioni di attimi, molteplici punti di vista, personaggi inconsapevoli.
Al di là dello stile, ciò che è davvero importante è che il racconto è pieno zeppo di citazioni importanti. Normalmente ritengo l'utilizzo di una citazione una scelta adolescenziale, ma Giovanni ha scelto bene cosa inserire, o meglio, sono sicuro che siano loro ad averlo scelto.
Quando lo leggete quindi, se mai doveste scoprite di non conoscere qualche brano musicale, o peggio ancora un libro citato, correte ai ripari che ne va della vostra cultura.

Il formato (Mini concept letteratura) è delizioso, è un piacere sfogliarlo, delicato com'è.
Questo è il link per acquistarlo.

giovedì 7 ottobre 2010

Sarah Scazzi

Allora, provo a tirare fuori qualcosa di sensato.
Mi fa un po' male la testa e soprattutto tutto quello che è successo mi ha scosso, perdonate quindi qualche errore che mi scapperà inevitabilmente.

Non sono un telespettatore di Chi l'ha visto. E' uno di quei programmi di cui, seppur riconoscendone l'utilità in alcuni casi, mi piace fare a meno per via dell'ansia che trasuda da ogni puntata. Mia madre invece è proprio una fan. Così mi sono ritrovato a seguire la puntata di stasera. In più Sarah Scazzi è di Avetrana, un paesino a cui sono legato perchè praticamente trascorro ogni estate da 24 anni a pochissimi chilometri da lì. La scomparsa di Sarah era il centro della puntata di stasera. Ospiti, in diretta dalla casa della zia, la madre di Sarah, due amici e la cugina di Sarah, Sabrina, che per tutta la diretta ha deciso di non farsi vedere.
Lo zio e la zia di Sarah, proprietari della casa da cui si effettua il collegamento, sono al momento del collegamento a Taranto da diverse ore: stanno subendo un interrogatorio.
I più maliziosi hanno subito capito che qualcosa stava accadendo.
Solo che poi quello che sembrava essere solo un cattivo pensiero è diventata una certezza. C'è la prima fuga di notizie, Repubblica titola immediatamente sul sito (siamo intorno alle 23:30) Ritrovato il corpo di Sarah Scazzi (non sono stato veloce nel fare uno screenshot, ma ad altri blogger non sarà sfuggita l'opportunità). Succede tuto velocemente, i giornalisti vengono a conoscenza della morte della ragazza prima che venga data la notizia ai genitori. Però non c'è la certezza e nessuno si è preso la briga di avvisare la madre, che in diretta col programma, sembra capire e non capire.

Ora qui si parla dei moventi, ci si interroga. Fioccano le prime considerazioni.
Adesso ci si chiede cosa abbia fatto crollare lo zio reo confesso.
Io però mi chiedo come sia possibile che qualcuno sia uscito dalla stanza pochi secondi dopo la fine dell'interrogatorio o, ipotesi ancora peggiore, durante l'interrogatorio e abbia fatto partire la telefonata. I giornali danno così la notizia alla madre, che apprende non solo della morte della figlia in diretta ma anche che probabilmente è stata uccisa dallo zio. Tutto questo mentre si trova proprio a casa dell'assassino.

Difenderò la categoria ogni volta che potrò. Ma questa è una zappa sui piedi. Una zappa squallida, che mi ha fatto venire il mal di testa e che mi ha disgustato. Come se non bastasse il ritrovamento del corpo di una ragazzina, colpevole come sempre, di nulla.

domenica 3 ottobre 2010

Il filologo tecnologico

Il 12 settembre - si lo so che siamo ormai al 2 ottobre ma ho avuto da fare - su Repubblica, nelle pagine dedicate a Napoli, a pagina 19 per la precisione, è uscito un articolo su Costanzo Di Girolamo.

Chi è? E' il coordinatore della scuola di dottorato in Filologia moderna della Federico II. Non so se tiene ancora dei corsi alla triennale, è passato un po' di tempo da quando ho fatto i due esami con lui. La cosa interessante però non è questa, ma ciò che c'è scritto nell'articolo di Ilaria Urbani.

Di Girolamo in pratica è una rock star. Alla fine degli anni '60 ha insegnato prima in Canada e poi in America a Baltimora: era più giovane dei suoi studenti. Proprio a Baltimora trascorre un'intera giornata con Italo Calvino. E poi racconta dell'incontro con Gianfranco Contini.
Ora, magari a quelli che non hanno molto a che fare con questioni di letteratura questo nome non dice niente, ma per chi gravita intorno a questo enorme pianeta un nome come quello di Contini fa tremare le vene e i polsi. E Di Girolamo racconta di essere stato invitato a casa sua a Firenze, quando aveva poco meno di trent'anni, per parlare davanti ad una bottiglia di Porto.

Ora se a qualcuno interessa io ho strappato la pagina e l'ho messa da parte.
Di scanner funzionanti in casa non se ne trovano.
Però vi giuro, c'è una foto di Di Girolamo che si tocca il mento ed un suo ritratto a matita.

venerdì 1 ottobre 2010

La fuga di Tolstoj



Questa settimana ne ha parlato anche Corrado Augias sul Venerdì.
Il libro è riproposto da Skira, prima edizione quella di Einaudi, e racconta della fuga di Tolstoj dalla tenuta di Jasnaia Poljana.

Il libro è un vero racconto. Dice bene Augias: il libro di Cavallari è un vero e proprio racconto, fondato anch'esso sulle circostanze (nell'articolo sul Venerdì fa un confronto con Tolstoj è morto di Vladimir Pozner - Adelphi), ma che delle circostanze reali sa fare a meno per ricostruire lo stato d'animo del grande vegliardo.

All'età di 82 anni Tolstoj scappa di casa come un adolescente per non tornare mai più. E' nota la sua insofferenza per l'atmosfera familiare, per i continui controlli dell'asfissiante moglie, per il rapporto a volte complicato con i figli. Cavallari ipotizzia pensieri, sensazioni, addirittura rivalutazioni (interessante quella sui viaggi in treno).
Qualche anno fa all'università un professore illuminato ci fece leggere un saggio sulla morte di Tolstoj. Non ricordo l'autore, ma ricordo le parole di Gorkij citate alla fine del saggio. Osservando il corpo del defunto Tolstoj, capì che era morto prima che un grande romanziere, per alcuni il più grande, un grande uomo e che un'era era finita per sempre, irrimediabilmente. La fine della fuga di Tolstoj è la morte, in una piccola stazione.

A metà libro ci sono delle foto eccezionali, compresa l'unica foto a colori scattata allo scrittore. Sono dell'idea che la venerazione non sia una buona cosa, ma parliamo di Tolstoj, forse il più grande romanziere mai esistito. E così non si può fare a meno di rimanere incantati guardando i colori del 1908. Tolstoj è seduto su una sedia di legno, ha le gambe incrociate e gli stivali neri lucidi. Sulla camicia azzurra si adagia la barba bianca, il volto è segnato e duro.

Magari qualcuno potrebbe trovarlo noioso. Così come molti - esistono davvero e sono molto più di quelli che credete - trovano noioso Tolstoj.
Per me è diverso. Porto ancora addosso i segni di Guerra e Pace.

-.-.-.-.-.-.-

La fuga di Tolstoj - Alberto Cavallari, Skira

mercoledì 29 settembre 2010

Inception

Inception è un film di Crithopher Nolan.
I film d'azione di Nolan sono diversi dagli altri film con le esplosioni e la gente che si picchia. Nei film di Nolan la gente si picchia ed esplode, si spalma sulle pareti degli hotel, e per due ore sia lo spettatore, sia la gente che continua a picchiarsi nel film, si chiede: perché si/ci stanno/stiamo picchiando?

In questo film c'è gente che entra nei sogni della gente.
Gente che sa difendersi dalla gente che entra nei sogni.
Leonardo Di Caprio roso dai sensi di colpa che ha combinato un macello con sua moglie.
La moglie di Di Caprio che bè, avrà avuto i suoi motivi, ma fa un casino anche lei.
La tipa di Juno che costruisce dei sogni da paura.

Che poi il film non è male. Ho un solo dubbio su lavori del genere. Quando inventi qualcosa, e crei un apparato teorico per sostenerlo, finisci per riempire la testa dello spettatore con nozioni e collegamenti complessi. Bello ma complicato, è il mio giudizio finale.

martedì 28 settembre 2010

Quante cose al mondo puoi fare, costruire, inventare, ma trova un minuto per te.


Quante cose al mondo puoi fare con un crociato anteriore rotto.
Per inciso oggi sono andato a fare la risonanza magnetica. Fino all'ultimo momento ho avuto paura che mi infilassero dritto dritto nel tubo, quello da attacco claustrofobico. Quello bianco dove ti infilano se sei in Grey's Anatomy, e sempre se sei in Grey's Anatomy, dopo qualche minuto che sei stato infilato dentro inizi ad avere delle convulsioni terribili, per cui un semplice dente del giudizio è in realtà una malattia catastrofica che ti porterà alla morte.
O che porterà alla morte uno dei tuoi più cari amici.

Rimandendo in tema "Serie Tv", volevo dirvi che è ricominciato Dexter.
Una prima puntata della quinta stagione davvero bella, drammatica al punto giusto, piena di quella sofferenza americana positiva e dell'immancabile senso di colpa.
Sarà difficile aspettare una settimana per la seconda.

Però la vera notizia è che, dato il mio attuale stato di infermo, ho recuperato una serie che tutti mi hanno abbondantemente consigliato: My name is Earl.
Se vi manca dovete rimediare. Vi dico solo che mi scatena quel particolare tipo di risata che si tenta di neutralizzare in qualsiasi modo senza riuscirci. Un paio di volte ho dovuto schiacciare la testa contro il cuscino, un'altra volta ero sul punto di soffocare per le risate.
Personaggi perfetti, divertenti e soprattutto di una dolcezza infinita, anche quando si macchiano di ogni nefandezza possibile. Su tutti, il volto di Jason Lee, di una bellezza smisurata.

sabato 25 settembre 2010

Il sogno della Tv è generare mostri

Pensieri ed emergenze

Sono stato alla prima serata del festival del pensiero emergente.

Ho scritto due paroline qui.

Ps: c'è qualche domanda ad Alessandra Finelli, ed ovviamente qualche sua risposta.

venerdì 24 settembre 2010

Chiudiamo un occhio.

Va bene che la pubblicità è il male assoluto.

Ma per questa chiudiamo un occhio.

giovedì 23 settembre 2010

Voi ci credete nella sfiga?

Ma quando tutto va bene e poi ad un certo punto succede qualcosa di brutto, per calcolare la sfiga si deve fare una media tra le cose brutte e quelle belle?

Niente di grave comunque, non state in pensiero, è solo un crociato anteriore malandato.
Comunque, sono stato al concerto di Morgan a Portici.
Io sono un suo fan, quindi sono molto di parte. Ma il concerto è stato davvero bello. Certo, alcuni pezzi riarrangiati con l'orchestra non rendevano tantissimo, ma quelli concepiti per essere suonati in quel modo, diamine, non se ne può davvero parlare senza far cadere la mascella.
Solo che Morgan è davvero l'idolo delle ragazzine.
O forse in altre parte d'italia lo ascoltano solo gli intellettuali.
Ma l'altra sera, una volta finito il concerto, sembrava di stare tra le fan di Justin Timberlake.
E' chiaro che non è colpa sua - non credo che l'artista scelga le proprie fan - ma qualche passo falso deve averlo fatto. Quando Rossella mi ha fatto notare che forse X-Factor è stato uno scivolone, forse più delle dichiarazioni sulla droga, per spirito di contraddizione le ho detto che non era vero.
Però ha ragione.
Ma mi continua a piacere, perché scrive canzoni meravigliose e interpreta divinamente quelle non sue.

domenica 19 settembre 2010

Nessuno di noi.


Roberto Saviano ne cita qualche pezzettino ne La bellezza e l'inferno (Mondadori).
Vi riporto qualche riga del meraviglioso discorso di Camus che accettava con queste parole il premio nobel nel '57.

"Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo, non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice, ma il creatore, sia esso lavoratore o intellettuale.
La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte. Tutti gli eserciti della tirannia con i loro milioni di uomini non lo strapperanno alla solitudine anche e soprattutto se si adatterà a tenere il loro passo. Ma il silenzio di un prigioniero sconosciuto ed umiliato all’altro capo del mondo sarà sufficiente a trarre lo scrittore dal suo esilio, ogni volta, almeno, che arriverà, pur nei privilegi della libertà, a non dimenticare questo silenzio e a divulgarlo con i mezzi dell’arte. Nessuno di noi è abbastanza grande per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della sua vita, ignorato o provvisoriamente celebre, imprigionato nella stretta della tirannia o per il momento libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la grandezza della sua missione: essere al servizio della verità e della libertà. Poiché la sua vocazione è quella di riunire il maggior numero possibile di uomini, egli non può valersi della menzogna e della schiavitù che, là dove regnano, fanno proliferare la solitudine. Qualunque siano le nostre debolezze personali, la nobiltà del nostro mestiere avrà sempre le sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la resistenza all’oppressione."

sabato 18 settembre 2010

Caro Brunetta


E' così scontato scriverti una lettera, caro Brunetta.
Ma c'è bisogno. C'è un bisogno che neanche ti immagini.
Capisco - io capisco ma ti assicuro che non tutti sono disposti a capire - che dato il livello di simpatia del tuo superiore tu debba cercare di essere alla sua altezza (apprezzerai spero che in questa lettera non ci sia alcun riferimento alle tue misure), capisco anche che quando ci si siede su quei palchetti, su quelle colonnine che svettano su tutta quella gente che ti guarda e che ti ascolta, che non aspetta altro che uno come te ne dica quattro a quelli come me, possa sfuggire di mano la situazione.
Qualche parolaccia sfugge anche ai più moderati. Perché la massa riesce, ed è davvero una magia, a tirare fuori il meglio o il peggio delle persone. Inizia a scaldarsi, inizia a mugugnare, l'energia passa da corpo a corpo e si trasmette a te, che qualche attimo prima - sono sicuro eh - avevi deciso di fare un discorso di profondo valore politico, uno di quei discorsi che Bersani avrebbe commentato così - Parole condivisibili - o qualcosa del genere.
Poi però ti è uscita quella cosa infelice sul cancro etico e sociale. E poi c'è stato qualcuno che scuotendo la testa e sorridendo ha detto - Si, vabbè ma è una provocazione.

Sai cosa mi sei sembrato Brunetta?
Uno di quegli amici stronzi che si ubriaca ai matrimoni o che fa i rutti alle cene eleganti. L'amico un po' stronzo a cui si perdona tutto perché è stronzo, appunto.
E poi le provocazioni, a mio avviso, possono permettersele i musicisti, gli scrittori, gli scultori, i pittori, i fotografi e tutti quelli che fanno arte. Forse addirittura i giornalisti.
Ma io mi sono rotto le scatole di chi dovrebbe impegnarsi a governare ed invece fa gli show. Insomma, arrivati ad un certo punto, che vi abbia voluto il popolo o no, finirete per capire che avete sbagliato mestiere.

martedì 14 settembre 2010

lunedì 13 settembre 2010

sabato 11 settembre 2010

Terry Jones

Riguardo Terry Jones (quello che vuole bruciare in pubblica piazza il corano) si legge tanto in questi giorni. Francesco Costa spiega qui perché, e soprattutto esprime una posizione, dal mio punto di vista molto condivisibile, che va molto oltre la banalità con cui si parla di queste cose nel nostro paese.

Somewhere

Il problema è che Lost In Traslation mi è piaciuto troppo.
E dopo aver visto Somewhere me lo sono rivisto.
E su questa cosa non si passa sopra: Sofia Coppola se lo porterà dietro per tutta la vita. Adesso ho sentito che viaggia spedita verso il Leone D'oro. E ci sta, perché il film va molto oltre la media dei film che escono durante l'anno.

Ma cavolo, che film che è Lost In Traslation.

Più o meno è quello che scrivo qui. Ma con meno parole.

martedì 7 settembre 2010

La scollatura dell'Avallone



Ho come l'impressione che il problema non sia mantenere un certo decoro "istituzionale".
Se metti uno zotico a parlare di Platone non mi sembra giusto accusarlo poi di aver usato l'intercalare - vabbuò - tra una proposizione filosofica e l'altra.

Sarà che punto troppo alla radice del problema, ma forse è sbagliato chiamare Bruno Vespa alla presentazione del Campiello.
O sarà che il discorso è sempre lo stesso: è diventato tutto un gioco.
Ed invito anche chi critica questo gioco da partecipante, tipo Gad Lerner, ad accettare la realtà. La mediocrità ha invaso tutto. Se avessi una soluzione ai problemi culturali del mio paese forse starei già facendo qualcosa. Ma non ce l'ho, quindi scoramento, dispiacere ed infine noia.

La rabbia di Gad Lerner mi è parsa, tra le altre cose, così infantile da portarmi a fare un'altra piccola domanda: è questa ormai la letteratura in Italia?
Parliamo su Repubblica di Gad Lerner che lascia un post scrittum in fondo agli articoli, parliamo di cerimonie di premiazione presentate da chi ha scritto lo stesso numero di libri di Simenon (sei dei quali su berlusconi) e su tutti uno, dal titolo Donne di cuori:Da Cleopatra a Carla Bruni Da Giulio Cesare a Berlusconi, parliamo dell'assoluta mancanza di volontà di voler affrontare discorsi sulla qualità della nostra letteratura. Ci lasciamo affascinare dal mondo di Rock Star che rappresentano il panorama editoriale italiano. Rock Star, poi, diciamo ballerini di Lisssio. E soprattutto, nota ancora più deludente, i giornali permettono che la letteratura diventi questo, gossip, lurido, disgustoso, fastidioso gossip.

Ci sarebbe un solo modo corretto per chiudere questo post.
Ed è una sola parola.

lunedì 6 settembre 2010

Il museo dell'innocenza*




I miei amici, conoscendo la mia recente passione per il modernariato, mi hanno regalato per il mio compleanno una Polaroid originale e funzionante.
La potete vedere in foto.
Grazie ad un Tutorial che non ringrazierò mai abbastanza trovato su Youtube (oh, dio benedica Youtube) l'ho anche caricata nel modo corretto.
La macchina è pronta e non vedo l'ora di scattare.

La Polaroid ha un fascino che difficilmente riesco a spiegare.
In realtà mi risulta difficile spiegare il fascino di qualsiasi oggetto non più utilizzato che entra nel mio museo, già ribattezzato da qualcuno il museo strazzulliano.
L'unico problema è la scarsità di foto da poter scattare, dieci per ogni carica. E le cariche costano un po'. Problema ma anche fattore che suscita ulteriore fascino: ogni foto diventa un pezzo unico e soprattutto diventa oggetto.
Ho stilato una lista di foto che voglio scattare. Ho deciso quali saranno le prime dieci.


*Il museo dell'innocenza (einaudi), è l'ultimo romanzo di Pamuk che ancora aspetta di essere letto, disteso su un fianco nella mia libreria.

sabato 4 settembre 2010

Ho visto il Che

Ho visto i due film su Che Guevara di Soderbergh.
Le critiche al tempo non furono esaltanti, qualcuno gli rimproverava la mancanza di pathos. Invece a me i due film (o l'unico film da 4 ore) sono piaciuti. Soderbergh mi sembra abbastanza distaccato dalla materia, subendone tuttavia il fascino, da regalare un ritratto compiuto e preciso.

Resta solo una domanda, e magari qualcuno di voi più ferrato sull'argomento può rispondermi. Nel film non c'è alcuna contraddizione tra il Che comandante ed il Che uomo. Il combattente, il rivoluzionario, l'uomo pubblico, non lascia spazio alla figura privata.
Simbolo ed uomo erano davvero la stessa cosa?

(L'unico momento di vera umanità, sempre che non si decida di considerare la sua intera vita un atto di estrema umanità, è nelle ultime immagini, che non vi sto qui a raccontare perché magari non avete visto il film, e che sono davvero un bel momento.)

venerdì 3 settembre 2010

300

Quest'estate, qualche giorno prima di partire, ho letto un'intervista a Roberto Saviano su Vanity Fair. Non ricordo purtroppo chi fosse la giornalista.

Nell'intervista Saviano non parlava delle solite cose. Cioè, non parlava solo delle solite cose. Diceva anche che la sinistra campana non lo vede di buon occhio perché assuefatta ai comportamenti camorristici, perché nonostante si sia schierata (ovviamente a parole) non ha mai risolto contraddizioni pesanti. Vedi il massiccio utilizzo di droghe leggere che per anni hanno rimpinzato le tasche della malavita. Diceva anche che a lui l'epica piace e che purtroppo in Italia è considerata una faccenda fascista.

Poi ho letto anche la sua recensione di 300, il film sugli spartani alle Termopili uscito un nel po' di tempo fa, nella raccolta La bellezza e l'inferno.
Il film l'ho rivisto ieri. Tutto sommato sono ancora d'accordo con lui.

giovedì 2 settembre 2010

Eccoci qua.

Sono tornato.
Appena in tempo per vedere i nuovi cartelloni pubblicitari del Pdl.
Che spasso.

Ah, ho visto anche l'Imperatore d'oriente in visita all'imperatore dell'impero d'occidente. Una meraviglia.

Ho fatto un sacco di cose interessanti quest'estate, poi ne scriverò.
Napoli mi ha accolto con una temperatura perfetta.
C'è l'ennesimo esame di latino da preparare, con il caldo sarebbe stato impossibile.
Scusate il tono da telegrafo, poi mi sciolgo.

hm.

domenica 1 agosto 2010

Ci leggiamo a settembre



Mettete play e poi iniziate a leggere.

Volevo lasciarvi con una canzone.
Ci ho pensato un po'. Ero deciso a mettere un pezzo che parlasse di viaggi. L'anno scorso ho caricato la foto di una strada. Anche quest'anno si parte in macchina, la stessa macchina dell'anno scorso che quest'anno ha toccato i 200,000 chilometri.
E c'è una canzone di Jovanotti che si chiama Marco Polo, che ad un certo punto dice viaggiare al volante di una macchina scassata/che per ogni chilometro in più è un gloria al padre, ed io mi ero proprio deciso a dedicarvela e a dedicarmela. Poi però ho visto le nuove foto di Alessandra Finelli. Ha deciso che fosse giusto presentarcele accompagnate da un brano degli Air. Che forse a tutti sembra un brano veramente lontano dal concetto di viaggio e di estate. No so se dipenda dalla luce da tramonto delle foto, che a me ricorda il tardo pomeriggio (in realtà poi ho scoperto che le foto sono state scattate all'alba) su spiagge dalla sabbia chiarissima e fine come polvere, o da chissà cos'altro, forse dalla dolcezza della melodia accennata al pianoforte, quella della frutta mangiata sulla sabbia bagnata, o dalla malinconia del tema, quella che ti lascia il sale sulla pelle e una giornata di mare appena finita, ma ho deciso di utilizzarlo come brano di saluto. Credo che sia il brano perfetto per farvi immaginare una macchina un po' malandata, un lunotto posteriore da cui si intravedono due zaini e due teste, una castana (la mia) ed una bionda (la sua), la mia mano sinistra che vi fa un cenno di saluto.

Peace.

La scopa del sistema


Nella prefazione Stefano Bartezzaghi scrive che è impossibile, visto che sappiamo come finirà la vita di David Foster Wallace, non chiedersi cosa avesse in testa.
L'intricata matassa di pensieri e di idee, delle immagini e delle parole, dove terminavano la loro esistenza di materiale narrativo e cominciavano quella di ossessione? E se fosse il contrario? Considerazioni banali e che dovrebbero essere completamente eliminate in un ragionamento critico. Banali ed inevitabili, perché per i lettori di David Foster Wallace, la sua vita e la sua morte sono diventate un fatto privato.

A 24 anni Wallace, terminati gli studi universitari, da alla luce il suo primo romanzo. Questo romanzo. Wallace supera la narrazione lineare, inserisce nell'opera materiali diversi, registrazioni di sedute psichiatriche, discorsi diretti ed indiretti, precisissime ricostruzioni.
Tecniche "postmoderne" che ancora non risultavano così vittime di abuso - siamo nel 1987 - ma utilizzate così sapientemente, tra l'altro da un autore tutt'altro che maturo, da non poter suscitare pensieri e commenti che non fossero pieni di ammirazione. E' facile per tutti lasciare frasi a metà, o interrompere dialoghi, o ancora più facile cancellare parti narrative. E' difficile, se non impossibile, se non sei provvisto di enorme talento e lucidità (sappiamo come è finita la vita di Wallace, ma nessuno può negargli veri e propri lampi di lucidità) far tornare i conti. Far quadrare tutto. Risoluzione certo impossibile se non vi è aiuto da parte del lettore.

Ancora più difficile, a meno che tu non sia talentuoso - molto talentuoso -, è riuscire a dire senza dire. Commuovere senza offrire l'esternazione del sentimento.
Così il lettore può commuoversi leggendo i dialoghi serrati dei personaggi, può percepire il feroce sconvolgimento, la confusione, il dolore, le ossessioni, senza che queste siano espresse fin dall'inizio.

Lenore, con le sue gambe perfette, L'uomo che vuole "imprigionarla" (chi leggerà il testo, tuttavia, capirà quanto sia banale quest'affermazione), la famiglia di Lenore, il padre sfuggente ma onnipresente, il fratello consumatore più che abituale di droghe dai tratti demoniaci ma geniale. E tanti altri, tante altre storie che coincidono, si sfaldano, si fondono.
Su tutti Lenore, non la Lenore dalle gambe perfette, ma la sua bisnonna che fu allieva di Wittgenstein, che lascia misteriosi indizi dopo la sua sparizione.

Io fossi in voi lo leggerei.

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David Foster Wallace - La scopa del sistema, Minimum Fax

giovedì 29 luglio 2010

Cristophe Lemaitre


Si stanno svolgendo in questi giorni gli europei d'atletica leggera.

Per chi non lo sapesse, c'è un ragazzino francese del '90, a cui ancora non cresce la barba e che fa vedere i sorci verdi ai super muscolosissimi uomini neri della velocità.
Ieri ha vinto i 100 metri e non di poco, e qualche minuto fa ha corso la batteria dei 200 con una facilità, ma una facilità, che già tutti parlano di fenomeno.
E' il primo uomo bianco ad abbattere il muro dei 10'' sui 100 mt.

Cristophe Lemaitre ha vent'anni, un fisico ancora acerbo e nemmeno un quarto dei muscoli che hanno i suoi colleghi. E' una scheggia.
Tra qualche anno, quando avrà corretto la tecnica immatura, quando smetterà di correre con i gomiti larghi, quando sarò composto fino alla fine, non dico che riuscirà a strappare i primati ai giganteschi colossi giamaicani, ma insomma, chi lo sa.

mercoledì 28 luglio 2010

Mentre Leggo - La scopa del sistema

Wallace ha scritto questo libro a 24 anni.

Parole. A quanto pare quella donna è ossessionata dalle parole. Sull'argomento non ho nè intendo avere idee le chiare, ma sembra che all'università fosse una specie di fenomeno, che addirittura abbia vinto una borsa di studio a Cambridge, il che, effettivamente, a quei tempi e per una donna non deve essere stato facile; comunque sia, a Cambridge ha studiato lettere classiche e filosofia e chissà cos'altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? E' un problema di linguaggio. Sei incapace di amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Sempplice: costipazione di sedimenti linuistici.

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David Foster Wallace - La scopa del sistema, Einaudi

lunedì 26 luglio 2010

Dove sono stato


Sono stato per tre giorni a Civitella Alfedena, ospitato da un caro amico.
Civitella Alfedena è un piccolo paesino di pietra in Abruzzo, nel parco nazionale.
Ho scritto già di questo posto, non qui, ma su fogli che poi sono stati stracciati - almeno quelli di carta - e non so se qualcuno avrà mai il piacere/dispiacere/ o la fortuna/sfortuna di leggere quello che ho scritto. Chi lo sa.


Il caso ha voluto che io e questo caro amico condividessimo questo luogo.
Lui ha una casa lì, io ci sono andato per anni con i miei genitori. Ma non ci siamo mai incontrati, o forse si e non ce lo ricordiamo. In ogni caso, a Civitella non mi sento ospite. La sensazione è molto vicina al sentirsi a casa. Ma nelle pagine che ho stracciato non scrivevo di questo.

Vivo in città tutto l'anno.
Quando sono in un luogo del genere dimentico lo stress dell'asfalto. Svanisce ogni pressione. Il corpo e la mente si abituano immediatamente ai nuovi ritmi, perché in luoghi del genere si ritorna ad essere naturali. No, non è retorica ambientalista. A me le città piacciono, ma c'è un dato chiaro e limpido, un dato che non si può trascurare, un'evidenza che salta immediatamente agli occhi. Io per un anno intero non so cosa voglia dire dormire nel silenzio. C'è sempre un'auto, un motorino, qualcuno che urla, uno stereo che spara nella strada le voci di improbabili pop star. Ecco, questi sono fatti.
A Civitella Alfedena la notte ti può capitare di sentire qualche sasso che cade o il vento che accarezza le case di pietra. E magari - lo dimostra la foto qui sotto - volti un angolo e ti imbatti nella natura, viva, così immediatamente percepibile.


(La foto notturna è opera di Alessandro Germanò e Corrado Parisi)