Nel momento in cui il primo aereo si abbatteva sulle torri ero steso sul mio letto. Come molti non ho capito subito la gravità della situazione. Mi sembrava un incidente paradossale, incredibile, una di quelle cose da
guarda cosa può accadere nel mondo. Poi quando si è schiantato l'altro aereo - ancora come molti - ho cercato un modo per registrare le immagini dei telegiornali. Ricordo di aver fatto un tentativo disperato con il videoregistratore ed una vecchia vhs su cui una decina d'anni prima in famiglia avevamo registrato Superman II. Alla fine ho messo la telecamera su un cavalletto e ho ripreso le immagini dallo schermo.
Non ho molti altri ricordi. Mi torna in mente una telefonata, una veloce conversazione con mio padre, qualcuno diceva che altri attentati erano in corso anche in Germania. Ricordo che qualcuno esultava, o almeno nascondeva a stento un certo piacere derivato dall'immagine, anzi, dalle immagini del crollo. Qualcuno a scuola faceva girare voci. «In metropolitana c'è un arabo che ti chiede l'elemosina, se tu gli dai i soldi lui ti dice "grazie, giovedì non prendere la metropolitana, che allah sia con te"». Cose del genere. E mi piacerebbe ricordarle tutte, perché che uno creda a ciò che è stato raccontato o alle teorie cospirazioniste c'è un solo dato che vale per tutti, il cambiamento, la nuova educazione che ci è stata impartita.
Il ricordo più nitido che ho riguarda una mia professoressa. Il liceo che ho frequentato è a due passi dalla base NATO, affacciandosi alle finestre delle aule ai piani superiori potevo vedere le sentinelle camminare sui tetti degli edifici, con fucile e quant'altro. Quella mattina c'era molte luce nella stanza, e vorrei ricordare precisamente l'ora, la data, chi era il mio compagno di banco, chi era assente e quanto durò il silenzio che seguì alle parole della mia insegnante. Potrebbe trattarsi del 6 ottobre, o una data comunque vicina all'ufficializzazione del primo attacco all'Afganistan. Forse l'8 ottobre - dovrebbe essere un lunedì - il giorno dopo l'inizio della guerra. La mia professoressa di Letteratura si appoggiò alla cattedra e il suo solo commento fu «Speriamo di riuscire a vedere la fine di questa guerra». E a distanza di dieci anni questo è non solo il ricordo più chiaro che ho, ma anche la frase con più senso che abbia sentito riguardo tutta la faccenda.