Qualche anno fa ho cominciato a scrivere un romanzo (non terminato e che ho deciso di non terminare). Il protagonista, il più grande scrittore italiano vivente, cedeva al richiamo della tv, partecipando ad un reality per scrittori nel ruolo di giudice.
Avevo deciso di aprire il testo con una finta citazione. Un articolo di giornale in cui si parlava di quanto lo spirito dell'uomo che aveva - di fatto, anche se con pause non particolarmente degne di nota - governato il paese per più di vent'anni fosse ancora capace di ispirare gli animi della popolazione anche diverso tempo dopo la caduta. Questo perché ho sempre immaginato - e non credo si tratti di un ragionamento particolarmente raffinato - che il destino della cultura (in questo caso della letteratura) fosse paradossalmente legato alla televisione e il destino della televisione indissolubilmente legato a Berlusconi.
Ieri scopro che effettivamente la Rai ha lanciato un Reality per aspiranti scrittori. Ed ovviamente ho seguito la condanna di Berlusconi. Credo da tempo che il vero problema del fenomeno berlusconiano vada ricercato non tanto in quelli che apertamente lo appoggiano (la loro almeno in parte è una scelta - magari non particolarmente accurata ma motivata) ma in quelli che inevitabilmente tutti i giorni si fanno promotori del comportamento berlusconiano senza esserne consapevoli.
Qualcuno dei berlusconiani che ho conosciuto sostiene che sia il modello del self made man a colpire l'elettorato. E questo è probabile (anche se come scrive - pomposamente si, ma in maniera efficace - Ezio Mauro su Repubblica la condanna di ieri dovrebbe spingere ad un ripensamento su questo piano, complottismo permettendo). Ancora più interessante è - secondo me - il modello dell'uomo che riesce a trarre profitti clamorosi da tutto ciò che fa: calcio, un'azienda/e televisiva/e, una casa editrice.
È il modello per cui non conta quello che fai, conta il successo che riesci a raggiungere. E sottrarsi a questo meccanismo è veramente difficile. Il romanzo che volevo scrivere non era a sua volta un facile meccanismo capace di colpire il pubblico? In quanti ragioniamo su metodi e meccanismi che possano portarci al successo senza ragionare su quello che sappiamo fare, su quello che sarebbe giusto fare, su quello che sarebbe giusto dire o che possa in qualche modo avere un impatto (David Foster Wallace lo spiega in maniera sublime: far parlare la parte di te che ama, invece che quella che vuole soltanto essere amata) sulla società, un impatto prima di tutto sugli altri, invece che l'impatto/fenomeno traducibile nella massa che compra il tuo libro, vede i tuoi film, è illuminata dalla tua forte ironia su un blog.
Senza arrivare alla domanda risolutiva "È nato prima Berlusconi o l'italiano?" non conviene chiederci se anche noi abbiamo o non abbiamo una parte berlusconiana? E se si, non abbiamo da fare un lavoro per renderla inoffensiva?