Faccio una delle mie solite premesse, perché mi piace essere chiaro, così poi non arrivano mail del tipo "bla bla bla tu parli così perché" e "bla bla bla sei di parte bla bla bla".
(A questo proposito ho scoperto che alle persone piace molto di più mandarmi mail private che commentare pubblicamente)
Mia madre lavora come dipendente al museo nazionale.
Le critiche che muoverò ad una lettera apparsa pochi giorni fa sul Mattino non sono in alcun modo mosse dalla volontà di difendere lei o la categoria.
Ho solo avuto la fortuna che proprio mia madre mi facesse notare questa lettera forse passata troppo inosservata.
L'archeologa in questione si lamenta delle cattive abitudini dei dipendenti statali:
Verso le 9:30 inizia il rito della colazione ordinata per telefono al bar vicino; forse qualcuno sta pensando ad un caffè, ma si tratta di ben altro: cioccolata calda non troppo densa, caffè lungo in tazza fredda con zucchero di canna, caffè ristretto in bicchierino di plastica con zucchero raffinato, cornetto vuoto ma con spolverata di zucchero, cornetto alla marmellata ma senza zucchero, spremuta d’arancia, cappuccino senza cacao sopra, ecc. Non è un caso che la macchinetta automatica per il caffè sia stata rimossa dopo pochi mesi in quanto non si raggiungeva il numero di cialde minimo previsto.
E già qui mi piace fare una precisazione. L'atteggiamento di cui parla l'archeologa in questione non è un atteggiamento esclusivo dei dipendenti statali. Ho lavorato in un negozio, anche grande, di cui non ero diretto dipendente, ed anche lì mi è sembrato che ognuno facesse colazione a modo proprio e con ciò che voleva. Lo considererei più un atteggiamento tipicamente "meridionale", ma anche su questo non mi giocherei niente. Considerare l'abitudine a voler fare colazione durante le ore lavorative esclusivamente un abitudine dei dipendenti statali è sciocco, per non dire altro. Perché? Perché abbiamo le prove che questi atteggiamenti fanno parte di una tradizione (giusta o sbagliata che sia) radicata in molti ambienti di lavoro.
E continua:
Mentre si attende il barista, che prenderà anche le ordinazioni per il pranzo, purché non si decida per le pizze, che sono sempre buone, un’impiegata mette il bollitore sul fuoco per chi gradisce il tè.
Ce l'ha proprio con chi a colazione non vuole prendere solo un semplice caffè. Ma non andiamo oltre.
Dopo la colazione, che ha rinfrancato tutti, mentre gli impegnati si consacrano alla lettura del giornale, gli altri si dedicano alle loro attività preferite: c’è l’addetto alla biblioteca che mette la testa sulla scrivania e dorme per un’oretta; la signora tanto brava e gentile che, in mancanza di meglio, fa l’uncinetto; molti, semplicemente, fissano il vuoto; qualche volenteroso si dedica a studiare per il prossimo concorso interno; rari fanno il solitario al computer, ma solo perché ancora per tanti il computer resta un oggetto misterioso e poi internet, dove c’è quel sito specializzato in cui scegliere la nuova cuccia per il cane, è molto più divertente.
E questo, effettivamente è un problema serio. Ma trattato nel modo sbagliato. Il problema non viene toccato in punti importanti, come la mancata capacità di offrire mezzi ai dipendenti per ottimizzare il lavoro, di corsi di formazione (ma davvero) per imparare ad utilizzare i computer, e certamente, anche di controlli che possano modificare il comportamento (divenuto abitudine) di dipendenti lasciati completamente soli in un mondo che va veloce come un treno.
La lettera poi prosegue su note di colore che purtroppo, cara archeologa disperata, non hanno a che fare con i dipendenti statali: ma con atteggiamenti tipici di qualsiasi luogo di lavoro campano. Sono sicuro che ovunque, in qualsiasi ambiente lavorativo, sia capitato a qualche dipendente di portare il nipotino o il figlio.
Se poi vogliamo fare finta che non sia così, facciamolo. Così continueremo a non risolvere i problemi combattendo non la malattia ma i sintomi.
Voglio però portare all'attenzione un punto importante, che è davvero il centro del discorso:
Scrivo questa mia non per lamentarmi della nostra condizione ma, piuttosto, per invocare Brunetta affinché venga nelle nostre soprintendenze a vedere come il personale si prodiga nell’espletamento delle proprie mansioni.
E' scritto all'inizio della lettera.
Invocare Brunetta.
Brunetta, mia cara archeologa disperata, non ha dimostrato di essere diverso dagli altri lavoratori del nostro paese: ha solo urlato all'Italia intera che gli uffici sono pieni di Fannulloni.
In una guerra, così come la descrivi, forse hai deciso di schierarti dalla parte sbagliata. Quanto guadagna un dipendente statale? E quanto guadagna Brunetta? E quanto guadagna, soprattutto, per fare quello che fa?
Forse ci si dovrebbe chiedere questo, per individuare il vero problema. Forse bisognerebbe rivedere i complicati meccanismi del mondo del lavoro, e cambiare, per una volta almeno, le cose dall'alto e non dal basso. Tra le altre cose tu stessa parli di una guerra tra poveri. Credi che il modo per vincere una guerra del genere sia rimanere sola ed unica (e povera) una volta sconfitti tutti gli altri (poveri esattamente come te, solo da vent'anni e non da un paio), dopo aver chiesto l'aiuto di uno (ricco) del cui lavoro si potrebbe parlare tanto ed in maniera negativa?